“L’anno del coniglio” di Tuomas Kyrö
di Gianluca Di Cara / 7 gennaio 2014
Il clandestino Vatanescu e il suo coniglio scalano la vetta del successo in Finlandia: da uno status di irregolari (anche il coniglio, a modo suo) a una delle massime cariche politiche finlandesi. Non si sa mai che cosa aspettarsi dalla vita, sembra dirci L’anno del coniglio di Tuomas Kyrö (Iperborea, 2013).
Attingendo a piene mani dalla realtà, Kyrö narra le difficoltà di un giovane rumeno che lascia la famiglia in cerca di una vita migliore e con in mente il ben più modesto obiettivo di regalare al proprio figlio un paio di scarpe coi tacchetti, perché possa giocare a calcio come un vero atleta. Non sa certamente di andare incontro allo sfruttamento di Jegor Kugar, l’ex agente del KGB che l’ha aiutato a espatriare e che gestisce il racket dei mendicanti di Helsinki. Altrettanto certamente, non ha idea che il piccolo coniglio che salva, mosso da pura pietà, diventerà il suo migliore amico e lo aiuterà a cambiare vita. Sono le scelte avventate, a volte, a cambiare le cose.
Il romanzo è scorrevole, è un susseguirsi di avventure attraverso le quali Vatanescu riuscirà a liberarsi dal giogo di Kugar, ma non dei preconcetti della società: un immigrato è un immigrato, a prescindere dalla sua bontà d’animo. Se poi è irregolare, Dio ci scampi, è il fuori casta per antonomasia. La burocrazia, i benpensanti, i filantropi, gli ambientalisti, i politici: tutti a un certo punto hanno un ruolo (o, per meglio dire, si intromettono) nella vita del protagonista, ognuno per ragioni e fini diversi e ognuno con risultati diversi, ma nessuno di loro riesce a cambiare la personalità o gli obiettivi di Vatanescu. Il nostro eroe è e rimane un puro di cuore e il suo desiderio di comprare le scarpe coi tacchetti al figlio è ciò che davvero lo aiuta a resistere alle situazioni più critiche, a prescindere da quanti lo sbattano fuori dai negozi in cui entra e da quante porte gli vengono sbattute in faccia.
Fino al raggiungimento di un sofferto happy ending, da elogiare perché non scade nel ridicolo o nel banale, la storia del povero clandestino e del piccolo coniglio ha del tragico e dipinge una società che ha perso innumerevoli valori, da quelli dell’accoglienza a quelli della comprensione e dell’onestà. Il racconto avrebbe dei toni grigi e sarebbe tutt’altro che leggero, non fosse per la narrazione frizzante e accattivante data da Kyrö, uno scrittore versatile che sa fare breccia nel pubblico e che si ispira per contenuti e caratterizzazione dei protagonisti, omaggiandolo, all’ormai classico L’anno della lepre di Arto Paasilinna (Iperborea, 1994).
Ancora una volta, la letteratura del Nord Europa si rivela intrigante e appassionante. A dispetto di chi la ritiene di nicchia, sembra ergersi per qualità al di sopra di numerosi best seller europei che sono commercializzati e venduti come novità, ma che spesso deludono, cadendo in luoghi comuni e narrazioni tutt’altro che intriganti.
(Tuomas Kyrö, L’anno del coniglio, trad. di Nicola Rainò, Iperborea, 2013, pp. 338, euro 16,50)
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