“Lo sguardo di Satana – Carrie” di Kimberly Peirce
di Francesco Vannutelli / 14 gennaio 2014
Aggiornamento al tempo dei social network per Lo sguardo di Satana – Carrie, nuovo adattamento del romanzo di Stephen King a quasi quarant’anni dal film di Brian De Palma che per primo portò il maestro dell’horror sul grande schermo.
Carrie White è un’adolescente insicura e solitaria, schiacciata da una madre fanaticamente religiosa e isolata all’interno della vita scolastica. È abituata a camminare lungo i muri, a non essere notata, finché un giorno il primo ciclo mestruale la sorprende sotto la doccia in palestra, insieme al terrore per quel sanguinamento di cui mai nulla aveva saputo. Finisce vittima della derisione della compagne, aizzate dalla capetta Chris, che filmano il suo terrore e lo spalmano tra cellulari e internet esponendo Carrie all’umiliazione e derisione pubblica. L’orrore dello scherno feroce sveglia il senso di colpa di Sue, la più bella della scuola, che cerca di rimediare al torto spingendo il suo ragazzo a invitare Carrie al ballo di fine anno. È lì che Chris ha preparato la sua vendetta contro la “strana”, colpevole, con la sua paura, delle sanzioni disciplinari che il preside le ha inflitto su pressione della professoressa di educazione fisica, unica amica di Carrie. Ma Carrie non è come le altre ragazze della sua età, e non solo per l’educazione da fondamentalista cristiana che le ha inculcato la madre Margaret, che si martoria la carne e rinchiude la figlia nell’armadio a pregare ogni volta che pensa abbia peccato. Quando è spaventata riesce a muovere le cose, e quando la vendetta di Chris la colpirà, i suoi poteri telecinetici si scateneranno contro ogni cosa.
Ha senso misurarsi con un classico del cinema e della letteratura con una nuova versione che espone inevitabilmente a schiaccianti paragoni con l’ingombrante precedente? Quelli della Metro Goldwyn-Mayer devono aver pensato di sì, ma è difficile, se non impossibile, sollevare interesse intorno a una storia già nota con lo spettro del film passato sempre costantemente presente. Ci ha provato la regista Kimberly Peirce concentrando lo sguardo sul disprezzo del diverso, tema caro al suo cinema sin dai tempi dell’apprezzato Boys Don’t Cry. Così, il bullismo di Chris e delle altre ragazzine diventa cyber, passando anche sul web oltre che attraverso i consueti mezzi del dileggio adolescente. Sostanzialmente, il contenuto simbolico del romanzo di King (la scoperta del paranormale come momento del passaggio della pubertà) rimane invariato, così come era stato mantenuto nel film di De Palma. Rispetto al film del 1976, la regista e lo sceneggiatore Roberto Aguirre-Sacasa recuperano alcuni elementi di contorno del romanzo mantenendo quasi immutate le modifiche per il finale e nella figura della madre, senza aggiungere significativi elementi di originalità.
Proprio la madre, interpretata da Julianne Moore, aiuta a comprendere il cambio di prospettiva del progetto remake. Margaret White è una disturbata vittima di una visione distorta della religione, pronta a salvare a ogni costo la figlia dalla dannazione che ritiene inevitabile. Non c’è malvagità nelle sue azioni, solo un amore deviato. Proprio questo atteggiamento svuota Lo sguardo di Satana di quella componente di inquietudine propria dei film dell’orrore. Rimane sì un senso di tensione generato dalla componente religiosa mescolata con il paranormale, ma appare evidente l’intenzione di concentrare lo script sull’elemento sociale e formativo della crescita di Carrie. La presa di coscienza dei propri poteri della ragazzina conduce a un uso volontario, anche compiaciuto, delle capacità soprannaturali, assumendo quindi il connotato di una vendetta consapevole e spietata frutto della scelta di non essere più vittima ma carnefice, non di un travolgente predominio di una forza inarrestabile, che si esprime perfettamente nello sguardo della sempre più convincente Chloë Moretz durante la violenza finale.
Inutile dilungarsi in paragoni più dettagliati con il film di De Palma. Farcito di intenzioni che mirano più al sottotesto socio-antropologico che al testo, Carrie in versione Peirce non riesce a sviluppare compiutamente la riflessione sulle nuove forme del bullismo e sull’universale senso di inadeguatezza del diverso, non offrendo nulla di realmente significativo, se non le interpretazioni delle due attrici principali, rispetto al modello del 1976.
(Lo sguardo di Satana – Carrie, di Kimberly Peirce, 2013, horror, 100’)
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