“Black Neon” di Tony O’Neill

di / 20 gennaio 2014

Tony O’Neill è tornato, e con lui il suo universo popolato da antieroi, tossici, criminali e anime dannate. Sì, lo so, detto così sembra un quadro abbastanza brutto e ripugnante, ma come diceva il buon De Andrè ne “La città vecchia”: «Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo, / se non sono gigli, son pur sempre figli, / vittime di questo mondo».

Black Neon (Playground, 2013) è il seguito del fortunato Sick City e delle annesse avventure dei due irrimediabili drogati, Jeffrey e Randal: il primo è un ragazzo di vita che fin da subito ha assaggiato il sapore della strada, il secondo è un ricco figlio di produttori cinematografici sempre a rischio di diseredazione qualora non riesca a rimanere “pulito”. Oltre ai due, il filo che unisce Sick City a Black Neon è il cinema. Quello più estremo.

Se nel precedente romanzo i ragazzi si erano conosciuti per rubare un tape in cui si mostrava un porno amatoriale di Sharon Tate, qui c’è di mezzo una pellicola leggendaria, talmente famosa da essere attesa da tutti da quindici anni nonostante non sia stata ancora girata. Merito di uno dei protagonisti del romanzo, Jacques Seltzer, memorabile quanto folle e deviato artista diventato famoso con il film Dead Flowers. Un’opera così rivoluzionaria e repellente allo stesso tempo da creare un’attesa spasmodica per il seguito, bramato avidamente da una schiera lunghissima di produttori. Qui entra in gioco Randal. Sobrio da un po’ grazie agli Alcolisti Anonimi, la famiglia lo ha rilegato a servizio di Kenny Azura, nuovo Re Mida di Hollywood. Indovinate quale opera vuole produrre a tutti i costi? Esatto. Senza svelarvi troppo, vi basti sapere che il folle Seltzer – somma incarnazione di vizi e perversioni – per girare Black Neon vuole obbligatoriamente una guida che lo accompagni nei luoghi oscuri e torvi di Hollywood. La scelta non potrà che ricadere su Randal… E Jeffrey nel frattempo? Se la passa meno bene. Ha sperperato ogni spicciolo del “colpo Sharon Tate” e fa tutti i giorni la fila per il metadone. Il corpo in disfacimento, arriva a fine giornata grazie alla marchette del suo compagno transessuale. Ma il ciclone Black Neon investirà anche lui.

Ora, da queste poche righe, anche questo romanzo sembra incentrato sulle vicende dei nostri due tossici preferiti: sbagliato. In Black Neon sono le donne a farla da padrone, merito delle Thelma e Louise dei nostri giorni, mescolate in salsa Natural Born Killers: Ginger e Lupita.

Ginger è una prostituta ed è il primo incontro che facciamo aprendo il libro. Si sta preparando per andare da un cliente: finirà per essere stuprata e picchiata. Per riprendersi, niente di meglio che qualche tiro di anfetamina dal suo spacciatore di fiducia, il quale però, ha alcuni problemi con Lupita. Problemi che verranno risolti immediatamente. Lupita è un personaggio dalla caratterizzazione indimenticabile: una bellissima killer mezza haitiana mezza ispanica, priva di un braccio, lesbica, dal passato terribile e con qualche legame con i culti della Santa Muerte. Unendosi a Ginger formerà l’altra colonna portante del romanzo.

Più pulp e avvincente rispetto a Sick City, Black Neon mantiene comunque intatta e perentoria la scrittura iperrealistica e violenta di O’Neill. Alcune descrizioni e scene sono di un impatto che ha davvero pochi procedenti, portando all’estrema dilatazione moderna la linea narrativa tracciata da Fante e Bukowski, passando per Ellis e Welsh. Anche le influenze cinematografiche rifluiscono nella scrittura: in certi momenti sembra di trovarsi in un film del primo Tarantino o negli angoli delle strada frequentati dal Cattivo tenente di Ferrara. Come per miracolo, il romanzo risulta essere avvincente e intrigante, ma non per questo meno profondo o privo di spunti di riflessione, tutt’altro.

Non resta quindi che calarvi in quell’enorme e oscuro abisso che è Black Neon e capire davvero quale sia il vostro ruolo in quel breve film chiamato vita.


(Tony O’Neill, Black Neon, trad. di Gaja Cenciarelli, Playground, 2013, pp. 331, euro 18) 

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