“Storia d’inverno” di Mark Helprin

di / 23 gennaio 2014

Vi è chi pensa al film Storia d’inverno (regia di Akiva Goldsman, con Colin Farrell e Russell Crowe fra gli altri) in uscita il prossimo mese come a un possibile nuovo Titanic. Supponiamo sia solo un auspicio della macchina economica che lo manovra, ma l’apprezzamento del grande pubblico non è improbabile. Questione di ingredienti, intanto: la fonte non è una storia vera e insieme leggendaria come quella del transatlantico, ma un romanzo intriso di elementi fiabeschi e fantastici tutt’altro che corrivo. Winter’s Tale di Mark Helprin ha goduto in trent’anni di vita di una notevole fortuna. Uscito nel 1983 negli Stati Uniti e tradotto a suo tempo da Adriana Dell’Orto per Frassinelli, ora viene riproposto, in concomitanza con l’uscita del film, dall’editore Neri Pozza.

Un’abile orchestrazione di varie storie e personaggi che si dipartono da due vicende principali. Lo stravagante Peter Lake è un ladro alle prese con le vessazioni di un’altra banda, quelli dei Coda Corta, decisi a farlo fuori a tutti i costi. Prima di imbattersi in un imprevisto cruciale che cambierà la sua vita (la seconda traccia del plot) ossiadi innamorarsi di una delle vittime dei suoi furti (la povera e bella Beverly Penn, «più strana di un oracolo», affetta da una malattia mortale), Peter da subito appare nella luce singolare che connota l’ambientazione della storia: la città di New York in uno scenario insolito, una Manhattan fusa in liquide stratificazioni cromatiche (seducenti agli occhi degli stessi personaggi) che si apre con la danza di un cavallo bianco, immagine che più fiabesca non si può ma che riesce a non risultare banale grazie all’abilità dello scrittore.

Il magico cavallo, che non riesce «a fare a meno di Manhattan», ha il compito di salvare Peter dai Coda Corta, guidati da un gran personaggio, Pearly Soames, che sembra uscito dalla fantasia di un Bolaño più svitato. «Bizzarro, infelice e deforme, cercava rimedio nella relazione astratta dei colori» – se l’oro lo attira, è per la sua purezza. Non un volgare teppista o materialista del crimine, insomma: la sua sensibilità per l’arte è meravigliosa. come la paradossale “magia” che gli fa detestare i neonati al punto di volerli uccidere. E spropositato è il suo odio per Peter, costretto a fuggire da una parte all’altra con il suo cavallo, schizzato nel cronotopo che configura il suo destino: spazi (di trasparente incanto descrittivo) e tempi sciolti da qualsiasi vincolo per inseguire a sua volta un amore che credeva perduto. La vicenda così trapassa dai primi del Novecento a una New York più recente.

Un romanzo che chiama lettori disposti a storie favolose, ma non solo: Helprin, columnist per il Wall Street Journal e il New Yorker oltre che narratore, ha scritto un libro che se appare a prima vista cifrato in una mappa di incantesimi “facili”, è pieno di sorprese per essere il mero fantasy tirato in ballo da alcuni commentatori. La ricchezza delle immagini, l’invenzione e la complessità dei personaggi ne fa un libro indefinibile, godibile da lettori diversi per motivi diversi.

(Mark Helprin, Storia d’inverno, trad. Adriana Dell’Orto, Neri Pozza, 2014, pp. 848, euro 18)

  • condividi:

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio