“Un sentimento tenace” di Goffredo Bettini e Pietro Ingrao

di / 3 aprile 2014

Un sentimento tenace è un tascabile di appena un centinaio di pagine e contiene un interessante carteggio scambiato tra due protagonisti della sinistra italiana: Pietro Ingrao e Goffredo Bettini. Due personalità di due generazioni diverse, entrambi provenienti dal Partito Comunista Italiano, che si confrontano con un piccolo scambio di epistole su pensieri di alta politica e sul «senso dell’umano».

I due autori sono in perfetta sintonia sul sentimento che li ha spinti a tuffarsi nella lotta politica, ovvero quello che descrivono come «un’insopportabile sofferenza nell’animo alla vista di tante ingiustizie e violazioni di diritti umani nei confronti dei più deboli».

Ma se questo sentimento tra loro è la base comune, diverse sono le motivazioni storiche che li spingono a entrare in politica. Per Ingrao, che a fine marzo ha compiuto 99 anni, nel pieno del ventennio fascista incombeva la paura di una possibile vittoria del nazismo in Europa e nel mondo. Una paura che, invece di indurlo alla fuga, si trasforma in lui nella scelta tenace di schierarsi trai comunisti italiani per combattere contro l’avanzata di Hitler.

Per Bettini invece, classe 1952, è la spaventosa avanzata dell’esclusione ed oppressione sociale delle persone più deboli – operata dal liberista «mondo del benessere che produce solo malessere» con la progressiva concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi – a convincerlo a entrare nello stesso partito e oggi nel Partito Democratico.

Nel dibattito tra i due, Bettini spiega a Ingrao la sua decisione di non abbandonare il maggior partito della sinistra italiana, perché, dice, «non ho voluto farmi trascinare da nostalgie del passato», giudicando il comunismo come un'ideologia «molto illuminante nell’alimentare belle speranze ma altrettanto contraddittorio nel realizzarle».

Le riflessioni sulla sinistra portano i due autori ad affrontare anche il problema del senso dell’umano.

Ingrao, narrando il suo vissuto nei tempi delle barbarie naziste, riflette su come può un uomo tollerare solo l’idea di uccidere un altro uomo, soprattutto in quei casi in cui la vittima è già rinchiusa, come quando è lo Stato a uccidere attuando pena di morte.

Bettini, invece, dà  una visione più ampia al problema posto da Ingrao, e gli ricorda che oggi questo quesito non può limitarsi alla sola analisi sulla pena di morte o a quella dei campi di sterminio.

«La realtà attuale è più complessa», afferma, «oggi c’è la guerra preventiva che implica che si debbano attaccare determinati popoli per impedire un loro probabile attacco “giustificando” l’idea della guerra infinita». L’analisi di Bettini ha un marcato accento freudiano e afferma che l’uccidere l’altro è un modo per allontanare da sé la paura della propria morte. Quindi, spiega, la Sinistra deve attuare politiche egualitarie e unificanti riducendo al minimo la paura dell’altro inteso come una minaccia permanente, al contrario della Destra che crea stratificazioni sociali alimentando questa paura.

Un libro che propone un interrogarsi non banale e quanto mai necessario sul senso della politica, in passato e soprattutto oggi.

(G. Bettini e P. Ingrao, Un sentimento tenace. Riflessioni sulla politica e sul senso dell’umano, Imprimatur, 2013, pp. 112, euro 9,50)

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