“I giorni e gli anni” di Uwe Johnson
di Michele Lupo / 30 aprile 2014
Per anni in Italia lo scrittore tedesco Uwe Johnson (1934-1984) è stato conosciuto soprattutto (si fa per dire, trattandosi sempre di un pubblico esiguo) per il suo romanzo d’esordio, Congetture su Jakob (1959), tradotto da Feltrinelli. Libro più di suoi altri di non immediata fruibilità, indifferente a ragioni di semplice comunicabilità e poco propenso ad accattivarsi l’attenzione del lettore tramite le lusinghe di una semplice narrazione di fatti. Pure, e il progetto Jahrestagein quattro volumi lo dimostra, se Johnson pretende una lettura partecipe, attiva, che si sforzi di entrare all’ascolto di una storia senza perciò “farsi cullare”, non si tratta di una fatica priva di ricompense. In questo terzo volume I giorni e gli anni (20 aprile 1968 – 19 giugno 1968)con cui l’editore L’Orma aggancia l’interrotta pubblicazione feltrinelliana dei primi due con la promessa di rieditare l’intero lavoro, Johnson riprende il personaggio di Gesine Cressphal per immergerlo nel grande mondo della Storia, dagli anni passati nell’originaria Germania Est all’approdo a New York – un progetto di quelli ambiziosi, di quelli che possono segnare solo alcune vite (e opere) di scrittori in un secolo.
Opere-mondo, si è detto, che intendono coniugare l’istante e il totale, il senso di una vita ma anche il senso (se è possibile esprimersi così alla buona) della Storia, un tentativo duro (che dura tutta la vita) di provare a scommettere sulle possibilità stesse della scrittura di esaurire ciò che è (stato). Ci troviamo davanti a un passo diaristico che non impedisce tuttavia alla scrittura di cimentarsi in soluzioni espressive diverse nel passaggio da un paragrafo all’altro, capace di varianti e strappi improvvisi, di svolte repentine dalla notarile registrazione di fatti dati elenchi alla connotazione paesaggistica («stamattiva pendeva sull’Hudson una densa foschia di una luminosità inusitata»). L’alternarsi fra la documentazione del presente americano di Gesine e figlia («più scafata», a suo agio nel nuovo mondo, nonostante i progetti della madre, compreso quello di «parlare tedesco corretto»), quello privato e quello storico (recuperato attraverso la narrazione quotidiana del New York Times) e i trascorsi nell’est comunista, non è mai troppo tonalmente disgiunto – come riflettendo una posizione programmatica dell’autore, a disagio tanto nel «socialismo reale» quanto nell’opulenza consumistica occidentale («la madre s’era portata dietro le sue idee sull’Europa […], che tutti gli esseri umani nascano con uguali diritti»). L’effetto, come sempre, è dato dall’insieme: le vicende storiche della Germania proiettano una luce obliqua sul presente documentaristico, e le notizie del quotidiano (che non tralasciano né le contraddizioni statunitensi – fra le altre cose, sono gli anni del Vietnam – né le vicende dell’Europa, si tratti di Colonia nel cui penitenziario i malati di mente «vengono picchiati a morte» o della tragica primavera praghese) sbilanciano la visione in un’epica eccentrica, spigolosa e mai placata. Come avrebbe potuto, se Gesine nonostante gli orrori della DDR continuava a pensare che il socialismo fosse meglio di un paese capitalista in cui pure aveva finito per vivere, lavorando in una banca per giunta? La meritoria fatica della traduzione porta i nomi di Nicola Pasquetti e Delia Angiolini.
(Uwe Johnson, I giorni e gli anni, trad.di Nicola Pasqualetti e Delia Angiolini, L’Orma, 2014, pp. 384, euro 26)
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