“Balkan pin-up” di Dušan Veličković
di Antonio Scerbo / 15 maggio 2014
Bastava essere un bambino nei primi anni ’90 del secolo scorso, e sentire nei diversi telegiornali la parola Jugoslavia, per capire che nel mondo di là dal proprio, quello dei giochi, accadevano cose di cui, comunque, anche crescendo, difficilmente si sarebbe venuti a capo. Il bambino si sarebbe poi in parte ricreduto, e avrebbe scoperto, con Franco Volpi, che «c´è del bello anche nel relativismo e nel nichilismo: inibiscono il fanatismo».
Friedrich Wilhelm Nietzsche, caro a Volpi, muore nel 1900, lasciando spazio a un secolo che ha assistito – in una paradossale impotenza scaturita dall’eccesso delle proprie responsabilità – al farsi ideologia dell’idea, a ben vedere anticlimax dell’umana ragione, del quale, come è noto, Dostoevskij ha dato esemplare e irripetibile rappresentazione ne I demoni, dove, citando il Vangelo di San Luca, è scritto in esergo: «Usciti adunque i demoni da quell’uomo, entrarono nei porci, e la mandra si scaraventò dal precipizio nel lago e annegò».
Balkan pin-up (Zandonai, 2013) di Dušan Veličković racconta la storia dei Balcani a partire dall’anno di nascita dell’autore, il 1947. È una narrazione che sa di vita vissuta in prima persona piuttosto che di un susseguirsi di eventi da pagine di annali. La storia diviene in Veličković un inevitabile e ingombrante ricordo, tanto da portarlo a chiedere alla propria memoria la chiave che della storia stessa restituisca la vicinanza immediata a ciò che è effettivamente stato: Veličković ripensa al padre imprigionato per un solo giorno, reo di aver espresso un’opinione lesiva della realtà politica del suo Paese; all’amico Radovan, finito nel campo di prigionia di Goli Otok e pestato ripetutamente con un pentolino di metallo; al tempo trascorso in Germania, quando Veličković ebbe modo di stringere un profondo legame con Zoran Đinđić, il quale sarebbe divenuto, nel 2001, il primo premier della Serbia democraticamente eletto, e poi, però, purtroppo assassinato; ripensa a Slobodan Milošević, e all’eco delle barbarie che ancora oggi risuona a pronunciarne semplicemente il nome.
E si arriva al 28 giugno 2013, a un vento forse diverso, quando il Consiglio europeo decide di aprire i negoziati per far sì che la Serbia aderisca all’Unione europea.
Il resto, che in Balkan pin-up non c’è, è cronaca dei giorni nostri.
Dušan Veličković occupa senza alzare la voce – e ne avrebbe invece ben donde – la prospettiva di chi, con dolore, potrebbe ripetere agli astanti: io c’ero.
Si dice che la memoria, perché non si svilisca, abbia bisogno d’esercizio. E libri come Balkan pin-up, quindi, non guastano mai. Reduci da un secolo gravido di fanatismo, dovremmo ora pensare all’altra faccia della luna, laddove relativismo e nichilismo non attecchiscono mai, anzi; e forse, invece che annegare a causa delle idee, con le stesse giocare, come insegnano i bambini e alcune tra le più splendide manifestazioni delle avanguardie artistiche di quel secolo che, si diceva, sì, è stato, ma che sembra ancora, a oggi, tornare a essere, troppo.
(Dušan Veličković,Balkan pin-up, trad. di Sergej Roić, Zandonai, 2013, pp. 151, euro 13,50)
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