“Le meraviglie” di Alice Rohrwacher
di Francesco Vannutelli / 20 maggio 2014
Secondo film per Alice Rohrwacher che tre anni dopo essere passata con Corpo celeste nella Quinzaine des Réalisateurs ingaggia la diva internazionale Monica Bellucci e calca il tappeto rosso del concorso ufficiale del Festival de Cannes con Le meraviglie.
Ci sono dei fari, che come occhi si muovono nel buio. È campagna e silenzio tutto intorno. In una casa una luce si accende, delle bambine parlano. La casa si anima, si svegliano i genitori. Il padre dorme sul divano, dice alla figlia grande di andare a cambiare il secchio, poi si sposta a dormire su una branda in giardino. Il secchio è quello del miele. Sono apicoltori, è il padre, Wolfgang, che lo impone. Tedesco trapiantato nel cuore etrusco d’Italia, porta avanti la sua convinzione contadina trascinando tutta la famiglia. È l’unica cosa che conta, il miele, l’unico centro di attenzione e l’azienda l’unica cosa per cui valga la pena fare dei sacrifici. Come accogliere in casa Martin, quattordicenne in prova dal riformatorio per farlo lavorare, muto e distante da tutti, o assecondare il sogno stupido della figlia di provare un concorso televisivo patrocinato da una fata con i capelli d’argento che fa vincere un sacco di soldi.
È un immaginario semplice, quello messo in scena da Le meraviglie, infantile come è giusto che sia passando per il filtro di Gelsomina, nome di fiore in un mondo di api, interpretata dalla sorprendente bambina Maria Alexandra Lungu. Alice Rohrwacher attinge dal proprio passato e dalla propria storia (figlia di tedesco trapiantato in centro Italia con agriturismo e allevamento d’api) chiamando sua sorella Alba a fare la madre, il centro intorno a cui gravita una famiglia anomala, per raccontare una dimensione rurale che troppo spesso ci si dimentica ma che ancora esiste e ancora è fondamentale nel concetto di tradizione. L’interesse è nella narrazione di realtà esistenti ma marginali nell’idea generale del paese. Girato tra Grosseto e Siena, è fortemente legato al territorio italiano e alla tradizione locale, ma lo stile di Alice Rohrwacher non localizza ma eleva a condizione internazionale, superando tentazioni alla Olmi per volgere lo sguardo oltre i confini.
È emblematico che Wolfgang (il belga Sam Louwyck) sia solo a lottare per conservare la dignità rurale, senza intrusioni turistiche e illusioni d’agriturismo, mentre intorno a lui si cerca di allargare l’orizzonte. Wolfgang difende un’idea di campagna pura che non ha bisogno dell’idea di nazione, del progresso, delle norme igieniche, di consorzi e diserbanti. È il contatto con la natura costante, quello che cerca, a costo di sacrifici, di condannare e relegare le figlie in una condizione contadina non voluta ma imposta. Gelsomina è curiosa come la sua età impone, vorrebbe essere come la fata con i capelli d’argento di Monica Bellucci o vivere tra le canzoni di Ambra e le mille e semplici normalità della sua amica del cuore, ma cerca il consenso costante del padre lavorando con lui.
L’intrusione del mondo esterno (Martin, soprattutto, ma anche il sogno televisivo), sovverte l’ordine delle gerarchie, rivelando il padre dipendente dalla figlia, la figlia disperatamente alla ricerca di un’autonomia, e la madre paziente raccordo, chiamata incessantemente dalle quattro figlie, mentre la sorella di Wolfgang, anomala tra gli anomali, agita adolescenze e ribellioni.
La fine delle illusioni, con la stanchezza svelata da una parrucca rimossa, e del sangue e del miele versato, lascia una famiglia unita su un letto all’aperto, con un cammello di guardia, a cercare ogni giorno di costruire e difendere la propria normalità.
È una realtà che sta per finire, quello di Wolfgang e di Le meraviglie, come le api che ogni anno sono sempre di meno senza un motivo, senza nessuno che stia ascoltare il lamento di un mondo che si vuole ancora che sia fatto di canti tradizionali e nonne sorridenti.
Alice Rohrwacher, unica italiana e unica donna nella selezione ufficiale insieme alla giapponese Naomi Kawase, alza il livello dopo Corpo celestee si mostra consapevole e capace, pronta a immagini evocative, in possesso di un linguaggio proprio che coniuga verismo e magia, semplicità e simbolo.
(Le meraviglie, di Alice Rohrwacher, 2014, drammatico, 110’)
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