“Avventure di un romanziere atonale” di Alberto Laiseca
di Giulia Zavagna / 16 giugno 2014
Alberto Laiseca, nato a Rosario nel 1941, è senza dubbio uno degli scrittori argentini più eccentrici della sua generazione. Cresciuto tra le province di Rosario e di Córdoba, si trasferisce a Buenos Aires in età adulta, e svolge i lavori più svariati: tra le sue prime pubblicazioni, un racconto dal titolo "Matando enanos a garrotazos" ("Uccidendo nani a bastonate" ndr), celebre per quel gerundio nel titolo che causa l’indignazione nientemeno che di Borges. Laiseca è autore di una ventina di libri, tra raccolte di racconti, saggi, poesie, e soprattutto un monumentale romanzo di milletrecento pagine, Los sorias. Uscito nel 1982, sedici anni dopo che l’autore lo concludesse, in un’edizione limitata di trecento copie, Los sorias è considerato il romanzo più lungo della storia della letteratura argentina, e ha finito per adombrare il resto dell’opera di Laiseca.
Non è un caso, dunque, che il suo secondo romanzo, Avventure di un romanziere atonale, pubblicato per la prima volta nel 1982 e di recente rieditato, sia entrato a far parte del catalogo di edizioni Arcoiris, e in particolare inserito nella collana Gli eccentrici, che sta scoprendo e riscoprendo alcune tra le più audaci narrazioni latinoamericane.
Il protagonista del romanzo è appunto il citato romanziere atonale, la figura di uno scrittore sommamente infelice che, nonostante si muova in uno spazio opprimente e ai limiti dell’abitabilità, e sia circondato e soffocato dai personaggi più strampalati (Doña Clota, anziana ospite esosa e dipendente dal totocalcio, Juan Bautista Ferochi, editore sadomasochista, Estela Zullini, vera e propria mangiatrice di uomini) tenta, e riesce infine, a scrivere il romanzo tanto agognato: opera torrenziale, lunga più di duemila pagine, «era pura discontinuità». Sarà il suo migliore amico Coco Pico Della Mirandola a presentargli Ferochi, un tempo editore tirannico e schiavista, ora deciso ad autopunirsi con fallimenti e sofferenze e per questo ben contento di pubblicare il romanzo atonale.
Dopo varie peripezie, del romanzo, nel frattempo diventato un successo internazionale, resta un unico breve frammento. L’autore non ce lo indica espressamente, ma tutto lascia pensare che la seconda parte del volume, intitolata "L’epopea del re Teobaldo", sia, in un gioco metaletterario, proprio quel frammento. Configurandosi inizialmente come un racconto di cappa e spada, la seconda parte del romanzo si sviluppa contraddicendo ogni logica, generi letterari, registri linguistici ed epoche storiche si mescolano a formare un mondo in cui dinosauri e Pink Floyd possono convivere.
La scrittura di Laiseca è ironica e delirante nel suo proposito di sovvertire generi e canoni letterari: così Rodolfo Fogwill ha interpretato il concetto di atonalità nel suo prologo al romanzo, intendendola come la «capacità dell’autore di liberarsi dal tono dell’epoca e di seguire un percorso opposto a una domanda letteraria che sempre più combina un linguaggio misurato e contenuti triviali».
Avventure di un romanziere atonale non è un romanzo facile, né l’eccentricità di Laiseca – che ricorda a tratti la prosa visionaria del maestro uruguayano Mario Levrero – favorisce un’immediata empatia con il lettore. Tuttavia, il libro permette un accesso privilegiato a un mondo dalla creatività sfrenata e sovversiva, della quale l’autore ha fatto il suo manifesto: «La realtà non mi interessa, io faccio realismo delirante».
(Alberto Laiseca, Avventure di un romanziere atonale, trad. e cura di Loris Tassi, Arcoiris, 2014, pp. 116, euro 10)
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