“L’ultima confessione”
di Morris West

di / 3 ottobre 2014

Sentir raccontare di un Giordano Bruno che dopo essersi intrattenuto con una prostituta scruta il cielo stellato e pensa all’immanenza di Dio in tutte le cose potrebbe, se non altro, disorientare. Il riuscire poi a sorriderne senza troppa sorpresa sembra quasi una diretta conseguenza dell’iniziale confusione, in fondo una simile immagine, per quanto singolare, ha una sua ragion d’essere, indiscutibile: il Nolano fu a dir poco un uomo sopra le righe. L’ultima confessione (Castelvecchi, 2014) è il diario dei giorni che precedono la sua morte, è «il ritratto fedele, anche se non sempre tenero, di un genio nato nel secolo sbagliato», voluto tra immaginazione e ricostruzione da Morris West.

Ogni sistema ha una logica che lo sottende, una costante, e complessità a diversi gradienti, principio che, Bruno, proprio su questa Terra, ha assorbito e superato; perché nel filosofo de l’eroico furore il pensiero si fa vita. Come si può pretendere di contenere tra le ombre di un chiostro, hortus conclusus, il desiderio di un’infinita espansione della coscienza? Pampsichismo, magia e mnemotecnica: il sapere è animazione originaria e universale, preso d’assalto sin dalla notte dei tempi da filosofi, da maghi, da teologi.

Quando il potere, però, del sapere stratifica il senso rendendolo dottrina, cultura, storia, Giordano Bruno non può che bruciare sul rogo il 17 febbraio del 1600, in Campo de’ Fiori, a Roma.

Arrestato dall’Inquisizione di Venezia nel 1592, Giordano Bruno nell’anno successivo venne trasferito all’Inquisizione di Roma. Denunciato, processato e condannato, l’eretico non abiurò mai; le pagine di West si riempiono allora dei ricordi di Giordano Bruno, i viaggi e le fughe, l’insegnamento e l’amore, e sopra ogni cosa uno sguardo appassionato dentro al proprio sé: egli ha in definitiva vinto su Dio e sul Nulla.

E se da una parte i supplizi, con Michel Foucault, avevano il loro splendore – perché non si potesse non vedere ciò che spettava in sorte al corpo del condannato – dall’altra le fiamme di Campo de’ Fiori ancora ardono dell’essenza del filosofo, che resta dunque assoluto: un uomo, il cui pensiero e la cui esistenza si collocano in prima linea, una vita dedita al pensiero e all’azione, la storia, eccezionale, del lógos che si fa èthos.

Morris West muore alla sua scrivania e lascia lo scritto incompiuto; L’ultima confessione potrebbe quindi assumere i tratti di un testamento spirituale. Viene però facile rappresentarsi quello che per l’autore, forse oltre le sue stesse intenzioni, è divenuta l’opera: un’avventura, come poche e assai rara, della carne e dello spirito. Come la vita tutta del Nolano.

(Morris Langlo West, L’ultima confessione, trad. di Francesco Paolo Crincolo, Castelvecchi, 2014, pp. 190, euro 17,50)

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