“L’Istituto per la Regolazione degli Orologi”
di Ahmet Hamdi Tanpinar
di Michele Lupo / 13 novembre 2014
Il narratore che finge di non avere nessun talento per le lettere («non mi piace né leggere né scrivere, eppure questa mattina, seduto davanti a un grande quaderno, sto cercando di mettere nero su bianco le mie memorie»), che scrive mosso da una necessità ineludibile (recuperare i fili della propria vita e rendere omaggio a – e riscattarlo da brutte calunnie – un uomo morto da poco che gliel’ha cambiata), e che parla di sé come di un essere senza alcuna importanza («non crediate che io abbia sopravvalutato la mia vita, che abbia pensato che valesse la pena fosse raccontata») – ecco uno stratagemma che quando è utilizzato da uno scrittore sagace, ossia capace di mimetizzarsi davvero con il suo personaggio, può sortire effetti molto interessanti. Specie sul versante comico – cosa che succede con L’Istituto per la Regolazione degli Orologi, romanzo del 1962 (ma pubblicato a puntate già alcuni anni prima) del tutto ignoto al pubblico italiano e per la prima volta tradotto da noi (per Einaudi da Fabio Salomoni).
L’autore si chiama(va) Ahmet Hamdi Tanpinar e, a detta di Orhan Pamuk, si tratta dello scrittore più importante della letteratura turca moderna. Il personaggio da lui inventato, un povero cristo che si definisce docile e mite, è stato impiegato per una vita nell’Istituto di cui sopra, un lavoro ricco di singolari implicazioni, non solo pratiche e sociali ma giocoforza speculative, tali da dare origine a una più caustica riflessione sul tema del Tempo, non priva di elementi metafisici. Niente a che vedere con la temperatura e la tonalità di un Proust o di Heidegger beninteso, e anzi incline a prendersi gioco delle grandi trattazioni, Tanpinar tuttavia insinua nel romanzo un tema gigantesco, a partire dall’occupazione del suo personaggio, Hayri Irdal, e dello strano ente in cui lavora. Nell’istituto si scrivono sugli orologi e dunque sul tempo saggi, articoli, libri che trattano la faccenda da vari punti di vista, compresa una Psicoanalisi dell’orologio che il narratore dice di non apprezzare per l’incongruità dei riferimenti alla libido e al sesso salvo beccarsi le punzecchiature della moglie sospettosa che il suo disinteresse derivi da ben altre ragioni. L’altezza filosofica del discorso è insomma messa a dura prova da più strette e contingenti ragioni sociali e domestiche (gestione del quotidiano, organizzazione del lavoro, nessi economici) sicché lo scontro fra le due dimensioni crea di per sé un effetto comico. L’azienda – così a un certo punto la definisce il narratore – fa pagare multe salate a chi non sta in regola col minuto-secondo, specie se in ritardo. Entra così a piene mani nella vita concreta degli abitanti di Istanbul, già ingabbiati in una scansione implacabile delle ore che deriva dall’osservanza dei precetti mussulmani: le cinque preghiere quotidiane, il pasto primo dell’inizio del digiuno, il Ramadan: «l’orologio», scrive il narratore, «era il modo più sicuro di arrivare a Dio». E se la madre vede nella pendola di casa un “Santo”, il giovane Hayri Irdal comprende la portata immensa di un oggetto non qualunque come un orologio quando gliene viene regalato uno dallo zio in occasione della cerimonia di circoncisione: lì, a dieci anni, ha la sensazione di aver perduto la libertà dell’infanzia (ben altra cosa, aggiunge, rispetto a quella politica, altrimenti non si spiegherebbe come mai il popolo turco tenda così facilmente a farne a meno).
Non stupisce che l’Istituto, entrando in maniera invasiva nella vita delle persone, provochi in loro un’attenzione morbosa, il bisogno di una resa dei conti, in cui sarà invischiato proprio il nostro Hayri Irdal – di lì il motore del racconto. La comicità e verve satirica del protagonista non sono di quelle funamboliche, ma guadagnano paradossalmente d’intensità perché, come un malinconico imbranato, il narratore racconta tutto con molta candida serietà. E attraverso il romanzo scorrono davanti al lettore non solo i mille volti di una città inafferrabile come Istanbul, ma la storia turca (e in parte europea) dei primi decenni del secolo passato – lo fa notare nella breve prefazione Andrea Bajani. Un vero grande libro del Novecento che i veri lettori dovrebbero conoscere.
(Tanpınar Ahmet Hamdi, L’Istituto per la Regolazione degli Orologi, trad. di Fabio Salomoni, Einaudi, 2014, pp. 448, euro 22)
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