“Letterature germaniche medioevali”
di Jorge Luis Borges e María Esther Vázquez
di Dario De Cristofaro / 16 dicembre 2014
Nel leggere il libro di Jorge Luis Borges, pubblicato da Adelphi, sulle Letterature germaniche medioevali viene spontaneo domandarsi quale sia il nesso tra l’autore e l’opera. Un argomento cioè solo apparentemente estraneo alla fantasia del grande scrittore argentino oppure qualcosa di più profondo e coinvolgente che attiene alla sua concezione dell’arte e al suo modo di scrivere?
La risposta la dà Antonio Melis, curatore del libro, in un pregevole saggio inserito, dal titolo “Il fascino guerriero del Nord”. Infatti qui viene riportata un’intervista di Osvaldo Ferrari del 1884, in cui è lo stesso Borges a svelarci che il senso dell’epico era sempre stato alimentato in lui come da un senso innato, e subito dopo: «È vero, l’epico mi commuove molto, in qualunque letteratura e in qualunque lingua, mentre il sentimentale mi dispiace. Forse proprio perché sono sentimentale e non sono epico mi piace l’epico e non il sentimentale».
È anche vero che a tale scelta hanno contribuito altre ragioni. A cominciare dalle frequentazioni familiari e dall’influsso paterno. Sarà infatti il padre a regalare all’adolescente Jorge Luis libri di lettura che sollecitano la sua fantasia per quel mondo primordiale, ricco di eroi e di imprese fantastiche, senza dimenticare poi le origini anglosassoni di un ramo della famiglia dello scrittore, quello paterno appunto.
Tale interesse viene intensificato in seguito con le esperienze raccolte dallo scrittore in giro per il mondo e soprattutto nei suoi soggiorni a Ginevra. Oltre all’esperienza di docenza presso l’università di Buenos Aires negli anni ’50 e ’60: durante questo periodo tale argomento diventa materia di scrittura creativa in prosa e in poesia e di attività critica, attraverso i corsi tenuti agli studenti. Molti dei contenuti di quelle lezioni confluiscono infatti nel libro in esame.
Tutto si arricchisce poi nella seconda metà del ’900 con la diretta frequentazione dei luoghi legati alla cultura e alla storia dei popoli germanici medioevali, soprattutto dell’Islanda, a cui Borges è stato particolarmente legato attraverso il contatto intenso con un pastore di pecore che coltivava il culto delle antiche divinità pagane. Perciò si può ben condividere la considerazione finale di Melis, riportata in quarta di copertina: «Il culto delle antiche letterature germaniche non solo ha illuminato la vecchiaia di Borges, il suo “occaso”, come egli stesso dichiara nel 1976, ma è circolato capillarmente in tutta la sua opera, nutrendo la riflessione sulla poesia e sul suo destino».
L’organizzazione del libro si fonda su un criterio prettamente geografico, perciò l’autore analizza la produzione letteraria in base alle tre aree del Nord-Europa: l’Inghilterra anglosassone, la Germania e la Scandinavia, secondo una scansione cronologica e una disposizione dei testi, basata sui generi letterari.
Le opere principali di ciascuno dei tre ambiti vengono esaminate attraverso efficaci riassunti: tecnica molto cara a Borges, o attraverso traduzioni di alcuni brani molto liberi e a volte perfino arbitrarie. Non mancano poi indicazioni essenziali di tipo bibliografico sia per le edizioni dei testi, sia per i lavori critici.
Questa intelaiatura tradizionale viene costantemente modificata dalle intuizioni di Borges scrittore, per cui si crea un rapporto con gli originali, ispirato a criteri di estrema libertà. Il dato più rilevante resta la libera appropriazione dei testi germanici medioevali, che entrano così a far parte di un universo letterario ignaro di ogni limite di tempo e di spazio. Si può parlare quindi di una letteratura che nasce dalla letteratura, poiché vi è una corrispondenza frequente tra l’analisi storico-filologica, condotta da Borges, e le sue rielaborazioni personali, in particolari poetiche.
Certo sarebbe un errore cercare di ingabbiare un autore tanto complesso in un solo modello interpretativo, come fa notare Marìa Kodama, vedova di Borges, in una recente intervista su Avvenire, ma è anche vero che nel libro si possono cogliere tutte le costanti della poetica di Borges e del suo modo di scrivere.
È interessante notare come ben due volte Borges si rifà alla prima grande testimonianza sul mondo culturale germanico, quella tramandata da Tacito nella Germania. L’autore esamina poi i testi fondamentali della letteratura anglosassone dell’Inghilterra, iniziando dal testo più noto in assoluto: il Beowulf, dopo aver descritto brevemente l’opera e l’attività di Ulfila, vescovo dei Goti, che tradusse in tale lingua la Bibbia, opera definita il monumento più antico delle lingue germaniche.
Borges parte dall’assunto che: «Nella letteratura anglosassone, come nelle altre, la comparsa della poesia precede la comparsa della prosa». Mette poi in rilievo due caratteristiche di tale espressione artistica: l’allitterazione e la metafora. Non desta meraviglia quindi che i testi esaminati nel libro siano prevalentemente poetici. Segue l’esamedi testi di indiscutibile valore, come Il Navigatore , Visione o Sogno della Croce, la Ballata di Maldon, che si alternano a documenti tradotti dalle Sacre Scritture.
Delle trentatré pagine che trattano la letteratura della Germania medioevale sono da segnalare le analisi delle seguenti opere: il Libro degli eroi o Heldenbuch, la Canzone dei Nibelunghi o Nibelungenlied,Gudrun con un interessante rapporto traAriostoe i Nibelunghi.
Le pagine infine più vibranti sono dedicate alla letteratura scandinava e soprattutto a quella islandese. In questa sezione si nota una presa di posizione dell’autore più partecipativa, quasi che le vicende riesumate dalle opere originali lo coinvolgano in prima persona. Non solo per una connaturale propensione all’epica, come si è sopra accennato, ma soprattutto perché «delle letterature germaniche medioevali, la più complessa e ricca è, incomparabilmente, quella scandinava».
Per concludere, Borges attraverso questo libro riesce a donarci non solo una storia letteraria, ma soprattutto un’affabile antologia e un affascinante racconto, che attraverso saghe e miti ci fa rivivere un mondo magico in cui rifugiarci.
(Jorge Luis Borges, María Esther Vázquez, Letterature germaniche medioevali, trad. di Lucia Lorenzini, Adelphi, 2014, pp. 228, euro 16)
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