“Tutto può cambiare” di John Carney

di / 14 ottobre 2014

Dopo il successo di Once (2008), il regista e sceneggiatore irlandese John Carney torna con Tutto può cambiare, unendo catarsi e seconde opportunità, chitarre e redenzione, in una commedia di sentimenti amari e musica.

Dan Mulligan (Mark Ruffalo) è un produttore musicale un tempo di successo; separato, padre distratto e assente di cui la figlia Violet (Hailee Steinfeld, Il Grinta) cerca disperatamente l’attenzione, e co-fondatore imbarazzante e alcolista di un’etichetta indipendente da cui viene fatto fuori perché non è più in grado di scovare talenti. Gretta James (Keira Knightley) è una giovane cantautrice di Bristol arrivata a New York quando il suo ragazzo, Dave Kohl (Adam Levine), ha firmato un importante contratto con una major. Gretta è la principale autrice dei testi, ma la notorietà con le sue tentazioni porta presto Dave ad abbandonarla in una città che non sente sua. La sera in cui sta per lasciare New York, Gretta finisce per esibirsi nel Village a una serata open-mic. Dan, ubriaco e scornato, è tra il pubblico. Gli basta un pezzo per riconoscere subito un timido talento, immaginando arrangiamenti che possano farlo esplodere, in quella che è probabilmente la scena meglio riuscita del film: un palco vuoto colmo di strumenti, una cantante con la propria chitarra e un pubblico distratto; la canzone comincia, la voce canta come se si esibisse solo per chi ha voglia di ascoltarla. E tra questi c’è Dan; uno sguardo alla batteria, ora al piano, poi al violoncello e al violino, e gli strumenti prendono vita, mostrando allo spettatore cosa Dan senta e veda. Greta inizialmente non mostra interesse quando Dan propone di produrle un disco. Non vuole lavorare sul proprio look e sulla propria performance, non vuole compromettersi: «La musica è per le orecchie, non per gli occhi». È l’autenticità quello che conta, ciò che la contraddistingue, ciò che per Gretta è importante. E Dan lo deve accettare. È in questa ricerca di autenticità che i due trovano la svolta geniale: l’intera città di New York, con i suoi rumori, il traffico, le sirene, sarà il loro studio di registrazione.

Come in Once, anche in Tutto può cambiare permane la dinamica “talento inespresso – catalizzatore del talento” , e anche questa volta a beneficiarne sono entrambi i protagonisti; se in Once avevamo il busker che veniva scoperto e “costretto” dalla tenacia della ragazza a esprimere e mettere in gioco le proprie capacità senza secondi fini, in Tutto può cambiare i protagonisti beneficiano equamente della collaborazione; il potere catartico e l’autenticità senza compromessi della musica di Gretta la porteranno a rimettersi in piedi e a scoprire chi è realmente, mentre Dan intraprenderà un viaggio che gli ricorderà chi è e cosa sa fare meglio, riportando ordine nella propria vita.

Oltre alla bella fotografia di Yaron Orbach, e al naturale tributo a quella «bella, dannatamente pazza e caotica città spezzata» che è New York nella scelta delle locations per le registrazioni, Mark Ruffalo e Keira Knightley si mettono in mostra con un’ottima intesa. Ruffalo gioca con il repertorio del fallito prossimo alla disperazione; l’attrice inglese, dopo i ruoli principalmente in costume degli ultimi anni (Anna Karenina, A Dangerous Method, Espiazione, impegnati e impegnativi, ritrova un ruolo leggero, si esprime al suo massimo e mostra anche delle buone doti canore. Il leader dei Maroon 5, Adam Levine, al suo esordio al cinema dopo aver partecipato alla serie tv American Horror Story: Asylum, riesce bene in un personaggio ambiguo.

In un film sulla musica, la colonna sonora non può che essere rilevante. Le musiche sono composte principalmente da Gregg Alexander dei New Radicals, qui con lo pseudonimo di Cessyl Orchestra, con qualche eccezione firmata CeeLo Green (cantante, produttore e voce dei Gnarls Barkley), che appare nei panni del rapper Troublegum.

Il pregio di John Carney, che sa scrivere e soprattutto dirigere i suoi attori, è nel saper condurre gli spettatori verso una fine inevitabilmente felice, sì, ma mai scontata. Lo ha fatto in Once, lo fa in Tutto può cambiare, in cui la purezza del rapporto fra i protagonisti, questa collaborazione quasi purificatoria, non viene banalizzata con una prevedibile, e forse anche giustificata, conclusione.

 

(Tutto può cambiare, di John Carney, 2013, commedia, 105’)

 

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