“Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza” di Roy Andersson

L’assurdità della vita di ogni giorno. Leone d’oro a Venezia

di / 17 febbraio 2015

Difficile, forse impossibile, definire del tutto Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza di Roy Andersson, film vincitore del Leone d’oro all’ultima edizione della Mostra internazionale del cinema di Venezia e adesso in arrivo nelle sale.

Si apre con “Tre incontri con la morte” che non hanno alcun collegamento tra di loro: un uomo ha un infarto nel salone di casa mentre tenta di stappare una bottiglia di vino; una anziana moribonda vuole portare con sé nell’altro mondo la sua borsa piena di gioielli, con tutto il malumore dei figli ed eredi; un uomo muore nel ristorante di un traghetto e la cameriera non sa cosa fare della sua cena pronta e già pagata. segue una serie di quadri – trentanove in tutto – girati in piano sequenza che mostrano momenti diversi di vite diverse a Göteborg: una scuola di flamenco con un’insegnante che perseguita un giovane ballerino, la locanda di Lotta la Zoppa oggi e nel 1940, un bar di periferia in cui si ferma per un bicchiere di acqua frizzante il re di Svezia Carlo XII, in marcia verso Poltava per combattere i russi nel 1707. Tra i vari momenti si muovono, con il loro campionario, Jonathan e Sam, due venditori ambulanti di scherzi, maschere e articoli di carnevale, che vogliono portare la felicità nella vita degli altri senza averla nella propria.

Roy Andersson, classe 1943, ha sempre avuto un’idea di film più vicina all’arte che al cinema. Nel 1970 ha esordito con A Swedish Love Story che si è aggiudicato quattro premi a Berlino. Nel 1976 era a Cannes con Giliap, poi si è dedicato per anni alla pubblicità per fondare in seguito una casa di produzione, la Studio 24, per poter realizzare in assoluta libertà i suoi film. Nel 2000, con Canzoni dal secondo piano, gran premio della giuria a Cannes, ha inaugurato la trilogia “sull’essere un essere umano” che è proseguita nel 2007 con You, the Living per concludersi oggi con Un piccione.

Appassionato, in origine, della Nová Vlna cecoslovacca, Andersson ha sviluppato negli anni uno stile che fonde pittura e letteratura, umorismo scandinavo e comicità surreale alla Monty Python.

Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza trova la sua ispirazione di partenza in Cacciatori nella neve, dipinto del 1565 di Bruegel il Vecchio in cui degli uccelli, dall’alto degli alberi, osservano le varie attività degli uomini in una giornata invernale di un paesino ai piedi della Alpi, ma c’è tantissimo Hopper nella composizione dei piani sequenza – sempre a camera fissa, tranne un unico movimento sull’asse della cinepresa, spesso con soggetti immobili che osservano punti fuori quadro – e Otto Dix per la rappresentazione dei personaggi, tutti truccati di bianco, con le labbra rosse.

Andersson è attento alla composizione come potrebbe esserlo un pittore, costruendo prospettive e attingendo sempre dalla stessa tavolozza di colori sulla scala del grigio e del beige. Il passaggio dal formato 35 mm al digitale che si è consumato con Un piccione ha permesso al regista di espandere ulteriormente la frontiera del suo sperimentalismo visivo aprendola a diverse e inedite sfumature di assurdo (l’esercito di Carlo XII in marcia nella Göteborg di oggi, o il macchinario che produce musica alimentato a schiavi africani) che avvicina alla distorsione della realtà provata, e rappresentata, da Dix negli anni del primo dopoguerra.

I piani sequenza riflettono sui vari aspetti dell’esistenza senza prendersi sul serio, lasciando scivolare nel riso amaro la tragedia quotidiana dell’esistere. i due rappresentanti di commercio trascinano per Göteborg le loro maschere che non fanno ridere e che non riescono neanche a nascondere i loro volti tristi come Don Chisciotte e Sancho Panza e uniscono gli episodi nel tentativo di portare risate nelle vite degli altri e per dimenticare lo squallore delle loro, di vite, con le notti consegnate allo squallore di un albergo di ultimo ordine.

C’è una frase, che viene ripetuta più volte da vari personaggi, in momenti diversi – prima di commettere suicidio, mentre si lavano le scale – ma sempre al telefono: «Mi fa piacere sentire che le cose ti vanno bene». È con questa frase che si capisce il senso del film di Andersson, che è quello di provare a rappresentare la vita per quello che è il suo svolgimento quotidiano, nel bene e nel male, nella disperazione e nelle felicità riflesse, nei suoi momenti eccezionali che possono diventare comunque ordinari, senza rinunciare a cercare un motivo per riderci su, anche se con profonda amarezza.

(Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, di Roy Andersson, 2014, commedia drammatica, 100’)

 

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LA CRITICA

Tra umorismo nero, pittura, teatro dell’assurdo, viaggi nel tempo, Samuel Beckett e Don Chisciotte, Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza è un’opera d’arte, una riflessione sul vivere che supera l’apparente austerità formale per riuscire a far ridere di tutto, conservando sempre in fondo al sorriso un velo di inquietata amarezza.

VOTO

8/10

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