“Noi e la Giulia” di Edoardo Leo

Dal romanzo di Fabio Bartolomei arriva il terzo film di Edoardo Leo

di / 20 febbraio 2015

Diego lavora come venditore di macchine, odia il suo lavoro e soffre per la malattia di suo padre che non l’ha mai stimato realmente. Claudio gestiva la gastronomia di famiglia che resisteva con successo dal 1910. Ci ha messo cinque anni a farla fallire, ha fatto lo stesso con il suo matrimonio. Fausto vende orologi farlocchi in tv, si sente un divo ma non è nessuno e i debiti lo mangiano vivo. Non si conoscono, ma hanno lo stesso sogno: rilevare una casolare in campagna e trasformarlo in un agriturismo. Decidono di diventare soci per poter comprare il casale ideale, solo che si trovano subito a scontrarsi con un problema più grande di quello che si aspettavano: la camorra arriva a chiedere il pizzo. Diventerà una lotta di resistenza in cui li aiuterà il comunista vecchia maniera Sergio e la svampita incinta Elisa.

Edoardo Leo, arrivato alla sua terza regia dopo Diciotto anni dopo e Buongiorno papà, si confronta per la prima volta con un soggetto preso dalla letteratura contemporanea. Non è semplice, perché Giulia 1300 e altri miracoli di Fabio Bartolomei è quasi oggetto di culto tra i lettori appassionati. Quasi a mettere le mani avanti, infatti, la prima scritta ad apparire sullo schermo durante i titoli di testa di Noi e la Giulia è “Soggetto di Edoardo Leo”, segue, poi, “Ispirato dal romanzo di Fabio Bartolomei”. Ispirato, non tratto, chiarimento subito per liberarsi dal confronto con il testo. Del resto, Edoardo Leo aveva ritenuto doveroso inviare una lettera aperta ai lettori di Bartolomei per chiarire come «il libro è tutto un’altra cosa».

Indipendentemente dal rapporto con Bartolomei, Noi e la Giulia scorre bene, fino a un certo punto. Leo porta avanti le sue considerazioni sulla generazione dei quarantenni allo sbando che aveva già sviluppato nei film precedenti, descrivendo quello che è comunque un riscatto morale in un momento di inattesa difficoltà. I personaggi sono caratterizzati secondo tipi fissi – il coatto, il timido, il paranoico depresso, il burbero, la strana – ma con sfumature originali e un ottimo lavoro degli attori. Edoardo Leo si dà la parte di Fausto, il piazzista tv ignorante, fascista, egocentrico con i suoi slogan da maglietta e la fissa della conquista («Mi presento come Fausto Maria perché alle donne piace l’uomo col lato femminile»). Luca Argentero con Diego continua a fare il timido imbranato, personaggio ormai fisso della sua filmografia. Rispolvera il suo accento piemontese anche per insistere sul lato della pignoleria. Stefano Fresi è il paranoico completo che vede cadere travi, vasi, tegole, che ha sempre un cugino «che c’è morto», mentre Claudio Amendola, che ogni tanto si ricorda di saper recitare, si diverte con questo comunistone manesco. Anna Foglietta abbandona per una volta il ruolo della coatta romana per fare la coatta toscana (quando calca l’accento sembra Chiara Francini). Ai cinque sconfitti si aggiunge il camorrista per caso Vito interpretato da Carlo Buccirosso. Ognuno di loro, preso singolarmente, funziona. Il meccanismo si inceppa quando iniziano le interazioni.

I rapporti non si definiscono pienamente; a parte l’(in)evitabile trama sentimentale, non ci sono veri e propri duetti, ma una serie di prove individuali che non sempre si amalgamano. Come ogni attore che passa dietro la macchina da presa, Leo è bravo a dirigere gli interpreti ma non riesce pienamente ad amalgamarli. Ha due modelli di riferimento della passata stagione abbastanza evidenti (e che lo avevano già coinvolto su vari piani): Smetto quando voglio di Sibilia e La mossa del pinguino di Amendola, ma non riesce a replicare l’energia di squadra di nessuno dei due.

Anche perché Noi e la Giulia cade in quello che è ormai il limite classico delle commedie italiane degli ultimi quindici anni. C’è un’idea, più o meno valida, di partenza, c’è uno sviluppo più o meno riuscito, e poi un’evoluzione che porta sempre a quello che si può definire “momento critico di rottura”, il punto, cioè, oltre il quale ci si smette di impegnare, come se qualcuno desse il comando «Ok, abbiamo fatto abbastanza, basta così», e ci si affida a una serie di meccanismi già consolidati che trascinano il film verso il finale.

In Noi e la Giulia il momento critico di rottura si ha quando Anna Foglietta travasa il vino di Argentero dal bicchiere di plastica a quello di vetro: «Fa sempre schifo, ma così è più bello». Con l’irruzione della retorica sul saper apprezzare comunque il lato positivo delle cose, sul non buttarsi giù, l’inceppamento che impediva al film di Leo di viaggiare sempre a piena velocità diventa vero e proprio ostacolo. Seguono carrellate con la casa che si trasforma, il ritorno della totalmente inutile voce fuori campo di Argentero che aveva introdotto l’avvio prolettico (in flash-forward) del film, balli di gruppo, ralenti e buonismi vari. Elisa smette di essere la svampita da difendere per diventare la guida morale, il punto di riferimento di tutti, e li sprona quando si abbattono e li aiuta a riconsiderarsi uomini.

Peccato, perché fino al momento critico di rottura, Noi e la Giulia funziona. Ha i suoi intoppi, abbiamo detto, va a intermittenza come l’autoradio della Giulia, ma fa ridere e tutto sommato riesce anche a portare avanti degli argomenti non semplici come la lotta alla mafia attraverso la resistenza civile (in questo è simile al recente – e sottovalutato – La nostra terra di Giulio Manfredonia).

Costretti sulla Giulia 1300, i cinque protagonisti si ritrovano – metaforicamente e non – a dover scegliere che direzione prendere, e Edoardo Leo sembra stare lì con loro.

(Noi e la Giulia, di Edoardo Leo, 2015, commedia, 115’)

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LA CRITICA

Basterebbe poco, per fare meglio. Nella sua produzione più importante, Edoardo Leo non riesce a incidere fino in fondo e cade in errori comuni a molti registi di oggi. Peccato, perché Noi e la Giulia fino a un certo punto va bene, molto bene.

VOTO

6/10

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