“Ho ucciso Napoleone”
di Giorgia Farina

Una commedia che si sporca di giallo, tutta al femminile

di / 27 marzo 2015

Dopo il buon esordio nel 2013 con Amiche da morire (globo d’oro per la migliore sceneggiatura, super Ciak d’oro per le tre protagoniste, Claudia Gerini, Cristiana Capotondi e Sabrina Impacciatore), Giorgia Farina torna con Ho ucciso Napoleone, racconto cinico e iperbolico delle difficoltà di essere donna oggi nel mondo del lavoro.

Anita ha apparentemente tutto quello che vuole. Una bella casa, una carriera in un importante gruppo farmaceutico, una promozione in arrivo. Non ha l’amore, ma non lo cerca, non vuole legami, non vuole fare la fine dei suoi genitori che litigavano sempre prima di separarsi e ripartire con nuove famiglie. Quando scopre di essere incinta il suo mondo si accartoccia e crolla nel giro di ventiquattro ore. La promozione salta, per forza, visto che è stata licenziata. Paride, il suo capo, nonché amante e padre del bambino, la lascia e torna dalla famiglia. È troppo tardi per abortire, è troppo sola per andare  avanti. Decide di organizzare un piano di vendetta contro Paride e tutta l’azienda per riavere il suo posto e la giustizia negata. La aiutano un gruppo di donne diversamente disperate che hanno fatto dell’arte di arrangiarsi una virtù, e Biagio, il timoroso legale della ditta che sembra pronto a tutto per far ottenere ad Anita quello che vuole.

Il Napoleone del titolo è un pesce rosso. Anita se lo ritrova tra le mani quando una bambina vicina di casa glielo lascia prima di partire per l’Argentina con la famiglia. Lei non ci pensa su molto prima di scaricarlo nel gabinetto. Non ha tempo né voglia di occuparsi di qualcuno o qualcosa. Tutto sommato è quello che prova a fare anche con il figlio che non vuole, anche se sono scaduti i termini legali per l’aborto. Lo tratta come un qualsiasi problema da risolvere, con la stessa impazienza di chi è sempre di fretta, di chi ha sempre qualcosa di più importante a cui dedicarsi. Solo quando capisce che quella gravidanza può essere utile per riottenere il posto che le hanno tolto – apparentemente proprio perché è incinta – decide di tenerlo. È così l’Anita interpretata da Micaela Ramazzotti: cinica all’inverosimile, pragmatica, concentrata esclusivamente sul risultato. Isterica, iperveloce, sempre in movimento, con le dita che devono tamburellare in continuazione quando è ferma. Ritmo, ritmo, ritmo, sempre.

La cattiveria non fa paura a Giorgia Farina, anzi, è su un personaggio “cattivo” che costruisce Ho ucciso Napoleone. Del resto, che non avesse problemi a uscire dalla consueta rappresentazione femminile del cinema italiano lo aveva già dimostrato all’esordio, armando e unendo in un complotto le sue tre protagoniste contro il maschio prevaricatore. Qui pone Anita come simbolo di ribellione contro il sistema del lavoro, contro l’ingiustizia del licenziamento per gravidanza, e lo fa senza sprofondare nel dramma o affidarsi alla commedia generazionale, ma scegliendo un registro grottesco e nero che appartiene molto poco al cinema nazionale e che guarda molto di più ad altre realtà, la Spagna soprattutto (qualche elemento in comune con Crimen perfecto di Alex de la Iglesia si può trovare senza troppo sforzo). Non solo: ha il coraggio di cambiare identità al suo film in corso d’opera. Perché Ho ucciso Napoleone inizia come una commedia per evolversi gradualmente in altro, in un thriller, ancor più che noir, con non poche sfumature psicologiche.

Sullo sfondo grava sempre il fantasma del peso dei genitori sulle vite dei figli. La famiglia non è il rifugio sicuro in cui trovare conforto dalle difficoltà del mondo. «Ogni volta che esco con un uomo mi chiedo: ma è questo l’uomo con cui voglio che i miei figli passino due fine settimane al mese?”, viene detto a un certo punto. Anita è resa anaffettiva e cinica dal disastro che sono i suoi genitori, narcisi neogiovani egoriferiti persi nei nuovi sentimenti, artisti liberi con cui lei non sente di avere niente a che fare, nonostante i sogni d’infanzia di mettere su una famiglia (ecco, il flashback iniziale con i bambini lo potevano risparmiare) soffocati a colpi di rigatoni in un’adolescenza bulimica. Non è la sola ad essere schiacciata dai genitori, ma non si può dire su chi altro gravi la presenza materna per non rivelare troppo.

Nelle costruzione di Anita viene lasciato libero sfogo alla creatività. Di scrittura, di trucco, di tutto, perfino di casting, perché Micaela Ramazzotti finora ha interpretato sempre personaggi molto simili tra di loro, varie declinazioni della borgatara semplice dal cuore buono, bella ma volgare, sin da quando il poi marito Virzì l’ha costruita così in Tutta la vita davanti. Farina ha avuto il coraggio di mostrarla diversa. Prima di tutto mora, che è già una novità, ma soprattutto sofisticata, algida, lontanissima da come era stata finora al cinema, con occhiali di design, tacchi alti da vamp e un’acconciatura che la pone in un impossibile incrocio tra la strega Malefica e il replicante Rachel di Blade Runner.

Funziona? Fino a un certo punto. Sarà l’abitudine, ma Micaela Ramazzotti non ha l’aspetto da femmina cinica, poco da fare. Va meglio quando si converte gradualmente all’umanità mentre la trama scorre, ma a quel punto le ruba la scena il Biagio di Libero De Rienzo, che non ha mai lavorato abbastanza e ogni volta che fa un film dimostra che è un peccato. Intorno si muovono bene Elena Sofia Ricci, Iaia Forte e Thony (la cantante già in Tutti i santi giorni, ancora Virzì), i “corpi speciali” che aiutano Anita, e Adriano Giannini, Paride, che condivide il nome con il vigliacco di Omero.

(Ho ucciso Napoleone, di Giorgia Farina, 2015, commedia, 90’)

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LA CRITICA

Ho ucciso Napoleone ha un doppio valore esattamente come ha una doppia identità di commedia e thriller. Nel suo essere eccessivo, caricaturale, grottesco e spezzato a metà si ingolfa in uno stile difficile da mantenere. Del resto, però, è proprio questo a distinguerlo dalla massa delle commedie tutte uguali di oggi. E ne va apprezzato il coraggio.

VOTO

6,5/10

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