Frankie Chavez @Teatro Quirinetta,
16 APRILE 2015
di Laura Croce / 24 aprile 2015
Non importa in che epoca e in che luogo ci si trovi: rock e blues riescono sempre a toccare le corde primordiali dell’animo, a riportarne a galla le sensazioni più basilari e al tempo spesso più forti. Una chitarra fa vibrare parole di nostalgia, fuga, amore. Una batteria amplifica e dà la carica a ogni mood, scandendo l’incalzare inesorabile di un ritmo sempre più scatenato. La tradizione e il piacere semplice e puro della musica sono gli ingredienti che il portoghese Frankie Chavez mette nei suoi pezzi e che ha portato sul palco del Teatro Qurinetta, a Roma, nel live dello scorso 16 aprile. Una maratona non solo coinvolgente ma anche ben pensata dall’artista, che per spezzare la possibile ripetitività del genere ha ben alternato sul palco pezzi strumentali e intensi, dalle venature quasi psichedeliche, con altri più carichi di adrenalina, passando anche per alcuni grandi classici come “Dust My Broom” e “Sweet Home Chicago”, il tutto condito da un bell’intervento dell’artista italiano Roberto Angelini.
L’inizio del concerto è molto raccolto: Frankie abbraccia la chitarra classica e comincia a catturare l’attenzione con un assolo, ma il tempo per rimanere lì assorti dura poco. Viene subito raggiunto dalla batteria di Joao Correia e parte con due pezzi tra i più accattivanti e vivaci della sua discografia recente come “Psycothic Lover” e “Time Machine”. Poi un tuffo nelle radici con l’album del 2011 Family Tree, in particolare con la cover del già citato classico blues di Robert Johnson. E se il live prosegue con le suggestioni di evasione di “I don’t belong”, il viaggio musicale si concede presto una pausa distensiva nel folk e soprattutto nella celebrazione delle origini tanto artistiche quanto geografiche del cantante, con suggestiva chitarra portoghese sotto braccio.
Con “Nazaré”, pezzo dedicato all’omonima cittadina del Pase iberico, le sonorità di Chavez compiono un balzo rocambolesco riportandoci da immaginarie highways dell’entroterra USA alle coste del mediterraneo, con corde pizzicate quasi per ricordare la grazia e la bellezza di quella musica popolare comune anche al nostro background. “Sweet Life”, in compenso, è country allo stato puro e arriva a predisporre gli animi per la parte forse più onirica dello spettacolo. È a questo punto, infatti, che Fankie chiama sul palco Roberto Angelini, che di corde sa come farne vibrare, aggiungendo alla già malinconica “Truth can break a bone” sfumature ancora più avvolgenti e ipnotiche. Ma non disegna neppure un salto nella Storia del blues più divertente e divertito, con quell’ode alla città di Chicago che funziona sempre davvero in tutte le salse.
Sarebbe bello vederli duettare ancora un po’ ma non c’è tempo, perché dopo la parentesi con Angelini, Chavez spinge di nuovo sull’acceleratore per una vera e propria rincorsa di note, dalle sonorità più hard di “I’m Leaving” fino ad approdare in chiusura a due dei pezzi più ruggenti dell’album Heart & Spine, cioè la title track e l’infuocata “Fight”, il cui nome è tutto un programma.
Un saluto con l’argento vivo addosso, insomma, che lascia con la voglia di altro power rock & blues e l’impressione di aver ascoltato un artista forse non rivoluzionario, ma che sa come rendere giustizia a un genere sempre degno di venerazione.
La scaletta completa del concerto:
• Unknown Friends
• Psycothic Lover
• Time Machine
• I believe I’ll dust my broom
• Long Gone
• I don’t belong
• Old Habits
• Nazarè
• The Search
• Sweet Life
• Truth can break a bone
• Sweet Home Chicago
• I’m leaving
• December 21st 2012
• Dreams of a rebel
• Heart & Spine
• Fight
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