“Puttane assassine”
di Roberto Bolaño

I racconti di uno degli scrittori più importanti del ventesimo secolo

di / 22 maggio 2015

Forse alla fine della lettura di Roberto Bolaño ci si sente confusi, sconnessi, stazzonati e sballottati come i panni appena centrifugati.

E questo si prova con i romanzi monster, I detective selvaggi e 2666, ma si può sperimentare in modo più concentrato, assaporando a dosi omeopatiche un universo pregno e surreale, con i racconti di Puttane assassine (Adelphi, 2015).

Seconda raccolta dopo Chiamate telefoniche, Puttane assassine è l’ultimo libro pubblicato in vita dall’autore cileno in Spagna nel 2001, prima che due anni dopo un male incurabile e imperdonabile da parte dei lettori bolaniani, portasse via la penna più incisiva della letteratura latinoamericana contemporanea capace di cambiarne il corso.

Bolaño è quel genere di scrittore scomodo perché mette in crisi certezze e preconcetti, erige barriere emotive, obnubila la mente come potrebbe fare una droga, induce al sonno amniotico ogniqualvolta l’argomento si fa insopportabile, a cominciare dalla condanna biologica sotto cui ogni essere vivente viene al mondo, la morte.

Il mondo di Bolaño è un flusso perpetuo: personaggi «patibolari», tristi o allegri, perdenti fatti e finiti escono ed entrano dalla sua matrice. Sono il ritratto di una generazione borderline, delusa, al limite della follia e del suicidio, cresciuta in un periodo di totale vuoto esistenziale, ideologico, politico, etico e surreale. Seguiamo il loro erratico periplo nei luoghi più inverosimili per ingannare la morte.

Nei tredici racconti di Puttane assassine troviamo i più disparati personaggi: un calciatore africano e uno cileno, compagni di squadra nel Barcellona che fanno vincere grazie a un miracoloso rituale; il poeta Enrique Lihn, incontrato in sogno forse in un bar di Santiago; un fotografo omosessuale alle prese con la prostituzione infantile in India; un narcotrafficante colombiano magistralmente descritto; un poeta erbivoro che si suicida dopo la morte della madre; persino un fantasma che assiste, come nel film Ghost, al vilipendio del proprio povero corpo da parte di un famoso stilista necrofilo. Inoltre Bolaño si iscrive nella tradizione di quei poeti, da Catullo a Baudelaire, attratti dalle figure delle prostitute. Riteneva che le prostitute fossero «la cosa più somigliante che ci sia a un orologio. Le puttane sono le donne-orologio per eccellenza». E ancora in un’intervista dichiarava: «ho sempre tenuto in grande considerazione questo mestiere e le puttane, pertanto, godono di tutti i miei rispetti. Tutte le puttane. Le povere e quelle di elevato standing. Donne virtuose e lavoratrici, donne che nello stesso tempo sembrano uscite da un melodramma messicano degli anni cinquanta, come dalle pagine della bizantina Ana Comneno». E definisce il racconto eponimo delle raccolta «femminista e violento».

Sotto questa viva materia pulsano in strutture variate gli scenari e le figure già incontrate nell’opera di Bolaño: ad esempio Arturo Belano, già alter ego dell’autore ne I detective selvaggi, personaggio segnato da una presenza passiva, marginale, estraniante, sia quando si limita ad essere un semplice osservatore o ascoltatore di vicende altrui, sia quando è coinvolto in prima persona.

Protagonisti e voci narranti non sono mai al centro della storia. Più spesso sono punti di vista esterni.

Questa percezione perturbante è terrore sacro ed estasi, nausea e straniamento, che costringe a guardare «un paesaggio irreale, come in bianco e in nero, composto da alberi rachitici, cespugli, un sentiero per carretti, un ibrido fra una discarica e il paesaggio bucolico tipicamente messicano» o «facciate di un altro tempo […], un tempo atroce che durava senza nessuna ragione. Solo per inerzia.»

In Puttane assassine troviamo tutte le ossessioni dell’universo multidimensionale bolaniano: violenza e male connaturati alla natura umana, sesso, letteratura, condizione degli esuli in terra straniera, viaggio come ricerca di se stessi (spesso verso luoghi sperduti o indefiniti), solitudine, magia nera, prostituzione, omosessualità, rapporto padre/figlio, lacerti di autobiografismo (trasforma gran parte delle sue letture, viaggi, aneddoti in esperienze letterarie), suicidio come atto di libertà, spesso dalla follia.

Per narrare ciò, Bolaño si serve di vari registri. Passa dalla prima alla terza persona. Racconta tanto al presente quanto al passato, utilizzando persino una forma più desueta di dialogo nel racconto eponimo. Segue gli eventi a volte cronologicamente oppure il flusso confuso dei ricordi.

Il vigore narrativo trasforma così l’esattezza delle descrizioni, l’umorismo tagliente, la complessità creativa di una scrittura a tratti delirante in un’emozione che deflagra nell’intelligenza e nel cuore del lettore.

(Roberto Bolaño, Puttane assassine, trad.di Ilide Carmignani, Adelphi, 2015, pp. 230, euro 18)

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LA CRITICA

Puttane assassine è l’ennesima dimostrazione che la letteratura, come sempre negli scrittori di valore, non anestetizza il dolore ma ce lo restituisce in tutta la sua violenza.

VOTO

9/10

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