“Vulcano” di Jayro Bustamante
La crescita difficile di una ragazza Maya in un mondo perduto
di Francesco Vannutelli / 9 giugno 2015
Maria è una diciassettenne di origine Maya. Vive con i genitori in una capanna ai piedi di un grande vulcano in Guatemala. Ogni giorno pregano gli spiriti perché la montagna continui a dormire. Tutti e tre lavorano in una piantagione di caffè. Maria è innamorata di un giovane contadino, Pepe, soprattutto per la sua decisione di scappare oltre il vulcano, verso gli Stati Uniti e una nuova vita. I genitori, però, l’hanno promessa a Ignacio, un giovane vedovo molto importante nella piantagione. Per convincere Pepe a portarla con sé, Maria gli concede la sua verginità. Il ragazzo scappa e lei resta sola e incinta, con l’ombra del vulcano a pesarle sulle spalle.
Jayro Bustamante conosce bene la regione abitata dai Kaqchikel, i discendenti dei Maya del nord-est del Guatemala. Abitava lì quando era bambino, parlava la loro lingua. Dopo aver girato corti e aver studiato cinema tra Parigi e Roma ha deciso di tornare a casa per il suo film d’esordio e di raccontare una storia della sua gente.
Vulcano unisce lo sguardo antropologico sui riti e le usanze di un popolo poco conosciuto con il racconto di formazione della crescita della giovane Maria. La presenza costante del vulcano pone i Maya di Bustamante in un contatto diretto e continuo con la natura, fonda la loro comunità con l’ombra, i rumori. Allo stesso tempo, li isola creando una barriera oltre la quale è lecito immaginarsi qualsiasi cosa. Per Pepe, poco dopo la montagna ci sono gli Stati Uniti (in mezzo c’è il Messico e il deserto da attraversare, ma è poca cosa) e quindi la possibilità di una vita diversa; per la madre di Maria, superato il vulcano c’è solo acqua fredda, un nulla pericoloso e ostile. Per Pepe, il vulcano è solo un ostacolo, per i genitori di Maria è parte della loro vita, è il dio visibile da pregare, il segno della terra.
Il vulcano è solo uno degli elementi che pone la vita in simbiosi con la natura. Il film inizia con un accoppiamento tra maiali (aiutato dal rum), Maria e la sua famiglia, e tutta la comunità, dipendono dalle piante di caffè per vivere, dalla calma del vulcano per sopravvivere. Regolano la loro vita secondo i cicli della luna, mentre i serpenti infestano i loro campi e impediscono i raccolti, resistendo ai veleni e alla tecnologia.
Maria sogna di lasciare il suo mondo verso uno nuovo di cui non sa nulla, lontano e diverso. Quando ne avrà bisogno, quando proprio la natura la costringerà ad attraversare il vulcano, quel mondo sognato tante volte si rivelerà gretto e nemico, spietato verso ciò che Maria ha di più prezioso nella vita. Non c’è spazio per la condivisione e la dimensione corale del villaggio, oltre il vulcano.
Vulcano si è aggiudicato l’orso d’argento Alfred Bauer riservato ai film che aprono nuove prospettive sul cinema all’ultima edizione del Festival di Berlino. In sé ha gli elementi tipici del film da festival: l’internazionalità esotica, gli elementi artistici della regia. Questo non è detto per sminuire. Il primo piano simmetrico di Maria che apre e chiude il film, ripreso anche nel trailer, è già un indizio della consapevolezza registica di Bustamante, che dimostra di saper muovere la macchina da presa in modi diversi, affidandosi ai campi lunghi e ai piani sequenza, ai primissimi piani e al montaggio interno, lasciando parlare l’ambiente e i volti. Conoscendo da vicino la realtà che racconta, Bustamante riesce a fondere il racconto documentaristico con la narrazione più drammatica. Senza denunce o pretese di indagine socio-antropologica, mostra la vita di una popolazione lontana dalla consapevolezza mondiale, ferma in alcuni casi a una dimensione quasi primitiva, come per la religiosità tra sincretismo e animismo, con segni della croce e preghiere agli spiriti della natura, ma contaminata dagli aspetti più deteriori del mondo occidentale: lo sfruttamento della terra, l’alcolismo, la burocrazia.
La volontà, però, di creare uno scarto netto tra il mondo civilizzato e il mondo naturale della comunità porta Bustamante a precipitare il film nella parte finale, introducendo un tema di non poca importanza senza che venga realmente approfondito. Gli elementi per un film potente c’erano già, alla ricerca della sensazione in più, Vulcano finisce per indebolirsi.
(Vulcano, di Jayro Bustamante, 2015, drammatico, 92’)
LA CRITICA
A metà tra documentario e racconto di formazione, Vulcano racconta attraverso Maria le condizioni di vita dei discendenti dei Maya in Guatemala, tra spiritualismo e tentazioni di modernità. L’enorme qualità dell’apparato visivo fatica a sposarsi con gli sviluppi di una trama che l’esordiente Jairo Bustamante vuole complicare a tutti i costi.
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