“Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti
Coraggioso e riuscito cinecomic di borgata
di Francesco Vannutelli / 18 ottobre 2015
Non poteva partire meglio il cinema italiano in questa decima edizione della Festa del Cinema di Roma (qui trovate tutti i dettagli del programma). È vero che il cinema nazionale è presente con solo quattro titoli tra i trentasette della selezione ufficiale, ma se sono tutti come Lo chiamavano Jeeg Robot, il film di esordio di Gabriele Mainetti, c’è da esserne felici.
Enzo è un piccolo criminale che se la cava con scippi e furtarelli. Un giorno, mentre scappa dalla polizia che lo sta inseguendo, cade nel Tevere, in un bidone di scorie radioattive. Si accorge il giorno dopo che il contatto con i materiali tossici gli ha dato una forza e una resistenza eccezionali. Sarà Alessia, ragazza turbata dalle molestie del passato e che vive nel mito costante del cartone animato Jeeg Robot d’acciaio, a convincerlo a usare i suoi poteri per fare il bene.
Gabriele Mainetti è noto soprattutto come attore per la televisione (Crimini, La nuova squadra) e per la regia di un cortometraggio del 2008, Basette (lo potete vedere qui), con Valerio Mastandrea, Daniele Liotti, Marco Giallini e Flavio Insinna, in cui erano già presenti alcuni elementi che sono poi finiti in questo suo originale, divertente e perfettamente riuscito lungometraggio d’esordio. Il riferimento alla cultura manga giapponese, ad esempio, Lupin III nel corto, Jeeg Robot qui, la realtà della Roma difficile delle periferie (in entrambi i casi è Tor Bella Monaca), la fuga dalla realtà dolorosa nell’immaginazione. Con Lo chiamavano Jeeg Robot è riuscito nell’impresa tutt’altro che semplice di trovare una via italiana al cinecomic, riuscendo dove aveva fallito Gabriele Salvatores con il deludente Il ragazzo invisibile dello scorso anno. La via giusta la trova modificando di poco la realtà e immaginando una Roma vittima di continui attacchi terroristici gestiti dalla camorra per fare pressioni sul governo. Nel clima di incertezza e paura quello di cui c’è bisogno è un eroe che sappia rassicurare le gente. E l’eroe può venire da ovunque, anche dalla più abbandonata delle periferie e da una casa buca piena di vasetti di yogurt e film porno.
Funziona tutto, in Lo chiamavano Jeeg Robot. È divertente, riesce a fondere insieme tutti i generi, dal noir alla commedia romantica, passando per il cinema criminale e lo spaccato sociale, e soprattutto raggiungendo i modelli di cinema supereroistici più “alternativi” tipo Chronicle o Kick-Ass e fondando un linguaggio nuovo per la produzione nazionale, finalmente libera da eccessive pretese autoriali e felice di riunirsi con il cinema di genere, e allo stesso tempo consapevole dei propri limiti e di quello che può offrire. Ci sono effetti speciali solo quando servono, non c’è un eccesso di computer grafica. Insomma, c’è un approccio funzionale a quello che bisogna raccontare, senza cercare di fare la Marvel ma facendo quello che è necessario. A parte i riferimenti fumettistici, a tratti sembra di essere davanti a uno di quei racconti di periferia di Niccolò Ammaniti, pieni di personaggi sgangherati e irresistibili con una passione smodata per la musica leggera degli anni Ottanta.
Claudio Santamaria, dopo aver dato la voce al Batman di Christopher Nolan nella versione italiana, ingrassa di venti chili e diventa l’asociale Enzo Ceccotti, eroe per caso. A fargli perdere la testa è l’Alessia interpretata da Ilenia Pastorelli che arrochisce la voce alla Micaela Ramazzotti e si immerge nel ruolo tutt’altro che semplice della malata di mente, ma è soprattutto Luca Marinelli nei panni del supercattivo a prendersi gli applausi e l’attenzione dello spettatore.
Il finale, che rimanda direttamente a Batman, sembra preludere alla possibilità che la storia di questo Jeeg Robot con maschera fatta a maglia che veglia sulla Capitale dalla borgata possa andare avanti. Sarebbe veramente una bella notizia per il cinema italiano.
(Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti, 2015, azione, 115’)
LA CRITICA
Un esordio di rara potenza che va a riempire un vuoto nel cinema italiano. Gabriele Mainetti importa il cinecomic nel nostro Paese e lo declina in versione borgatara. Lo chiamavano Jeeg Robot è una bellissima sorpresa.
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