“Room” di Lenny Abrahamson

Il mondo rinchiuso in una stanza

di / 27 ottobre 2015

Room

Solo un anno fa Lenny Abrahamson aveva stupito parecchi con Frank, folle film musicale con Michael Fassbender nascosto per tutto il tempo dietro un’enorme maschera di cartapesta. In questo 2015 è sbarcato all’Auditorium per la Festa del Cinema di Roma con un racconto di tutt’altro tipo ma che mantiene con il precedente il tratto comune della esclusione dal mondo. Room, già premiato con il People’s Choice Award a Toronto, è devastante.

Jack ha cinque anni e non ha mai visto il mondo. È nato e cresciuto in una stanza trasformata in casa in cui c‘è tutto, il letto, il bagno, la cucina. L’unico altro essere umano che conosce è sua madre che sta sempre con lui nella casa-stanza. Il mondo lo osserva dal lucernario e dalla televisione, ascolta i racconti della madre su quello che è reale e quello che non lo è, e la notte, quando arriva “Old Nick” a trovare la mamma, si chiude nell’armadio-letto e aspetta la mattina. Jack non conosce il mondo perché è nato nella stanza. Sua madre è stata rapita e rinchiusa in quello che all’esterno è un capanno degli attrezzi sette anni prima, quando aveva diciassette anni. È stato Old Nick a sequestrarla. È Old Nick il padre di Jack, e fuori dalla stanza, sotto quel cielo visto solo dal lucernario, esiste un mondo in cui è possibile una vita vera.

Tra il 2006 e il 2008 due casi di cronaca che rasentavano l’incredibile arrivarono a sconvolgere il mondo intero dall’Austria. Il primo, del 2006, riguardava Natasha Kampusch, all’epoca diciottenne, riuscita a scappare dopo otto anni e mezzo di detenzione in una stanza. A sequestrarla era stato un pazzo, Wolfgang Prikolpil, quando aveva dieci anni. Il secondo, del 2008, coinvolgeva un’intera famiglia. Elisabeth, la figlia diciottenne dei coniugi Rosemarie e Joseph Fritzl, venne denunciata come scomparsa il 24 agosto 1984. In verità, era stata sequestrata dal padre e rinchiusa in cantina. Nei successivi ventiquattro anni, Elisabeth fu vittima degli abusi del padre che portarono a sette gravidanze.

È soprattutto al caso Fritzl che si è ispirata Emma Donoghue per il romanzo Stanza, letto, armadio, specchio (pubblicato in Italia da Mondadori), punto di partenza di questo sconvolgente Room (dal caso Fritzl è stato scritto anche un romanzo in Italia, Elisabeth, di Paolo Sortino, pubblicato da Einaudi, che dovrebbe diventare un film a sua volta).

Diviso in due parti, una dentro e l’altra fuori la stanza, il film di Abrahamson non si limita a raccontare la storia, già in sé di potenza sufficiente a sconvolgere, di un sequestro, ma ne indaga con discrezione ogni tipo di dinamica psicologica coinvolta, dal rapporto ossessivo – e non può essere altrimenti – tra madre e figlio fino alla reazione dei genitori che si ritrovano a esserlo ancora, dopo sette anni, e a essere nonni, alla difficoltà che ci può essere a tornare alla vita piena dopo aver visto i propri giorni limitati a una stanza, a come, tutto sommato, vivere nascosti possa essere meglio di vivere esposti (qui torna un collegamento possibile con Frank, con la maschera simbolo di disagio che si sostituisce alla stanza).

È un peccato dover dire troppi dettagli della trama perché più che per altri film per Room è fondamentale per l’esperienza dello spettatore lo svelamento graduale della storia di Jack e di sua madre. Ci limiteremo quindi a dire che molto facilmente il film di Lenny Abrahamsson sarà il film statunitense “indie” dell’anno, quello che avrà un riscontro di pubblico superiore alla media del genere, quello che probabilmente tornerà in auge al momento delle nomination agli Oscar. Sarebbe tutto giusto, perché Abrahamson amministra la tensione con maestria, è capace di cambi di registro veloci che restituiscono l’intensità del dramma e la pienezza dell’amore tra madre e figlio, perché il copione scritto dalla stessa Emma Donoghue non conosce flessioni, perché Jacob Tremblay, il ragazzino che fa Jack, è sorprendente e perché Brie Larson, la mamma, al primo ruolo da protagonista praticamente assoluta, lascia intendere che nei prossimi anni troverà sempre più spazio a Hollywood.

(Room, di Lenny Abrahamson, 2015, drammatico, 118’)

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LA CRITICA

Partendo da un fatto di cronaca, Room di Lenny Abrahamson si concentra sulla potenza del rapporto indistruttibile tra una madre e un figlio cresciuti insieme in una stanza. Lo abbiamo detto in apertura: è un film devastante.

VOTO

8/10

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