“In Dream” degli Editors

Nuovo album, vecchio (?) stile, nuova identità

di / 9 novembre 2015

Quando nel 2005 usciva Back Room gli Editors si presentavano al mondo come un gruppo dalle sonorità post-punk, figlio naturale o almeno parente stretto di quelle atmosfere  ansiose e di quelle ritmiche cupe di matrice Joy Division. Un ottimo album d’esordio, poi seguito nel 2007 dal positivo An End Has A Start, in cui il cambio di registro in un suono più barocco, insolito, un new wave rock, aveva fatto presagire il polimorfismo musicale e l’attitudine al cambiamento del gruppo inglese. Cori estatici e risonanti aprivano l’album e la voce di Tom Smith, baritonale e sofferta, sempre più confermava richiami a Ian Curtis, ma anche a Ian McCulloch degli Echo And The Bunnymen, non a caso a loro volta ispirazione di un altro gruppo, gli U2, che ha avuto un notevole peso nello stile degli Editors.

Nel 2009 è stato il momento di In This Light And On This Evening, che ha sancito il passaggio, non senza qualche critica, a sonorità elettroniche; tastiere vintage e suoni elettronici quindi spostavano ora l’asticella di riferimento dai Joy Division ai New Order e quindi ai Depeche Mode anni ’80. Una fusione tanto spiazzante quanto riuscita di rock/pop ed elettronica, che ci ha consegnato un coraggioso e chiaroscuro esempio di synth pop epico.

Nel 2013 esce The Weight Of Your Love, quarta fatica del gruppo ormai orfano dal 2011 per diversità di opinioni sulla “futura direzione musicale” della band dello storico chitarrista e tastierista Chris Urbanowicz. Consci del non (immeritato) successo del loro terzo album, questa volta Tom Smith e soci, tra le cui file si sono aggiunti il chitarrista Justin Lockey, più funzionale alla nuova direzione di Urbanowicz, e il tastierista Elliott Williams, si trasferiscono negli States e alla corte di Jacquire King (già al lavoro con Kings Of Leon, Tom Waits, Norah Jones, James Bay, Modest Mouse e tanti altri). Quel che ne scaturisce è un album che vede il ritorno importante delle chitarre per dar vita ad un rock da arena, somma delle precedenti tre pelli cambiate dalla band. Al suo interno troviamo tutte le loro influenze, Depeche Mode, Echo and the Bunnymen, U2, Joy Division e New Order, ma con un sapore di Coldplay e Muse fino persino a Springsteen, il tutto incentrato sul tema cardine dell’amore.

«E adesso cosa proponiamo?», si sarà chiesto Tom Smith; andare avanti e sperimentare nuovamente qualcosa di inesplorato, o tornare indietro? La risposta è il ritorno, deciso, verso la new wave, anzi, la nuova new wave. In Dream è quindi un mix di chitarre e synth, un incontro tra i primi due album e  il terzo ed elettronico In This Light And On This Evening, ma con l’asta spostata più in favore dell’elettronica. Non rinnegano nulla gli Editors, anzi, recuperano pure una scrittura più noir che più si addice loro, quella dei loro “maestri”; «To  us, it’s interesting if it has a darkness. Whatever that is. On the lyric side of things, if I was singing about dancefloors or happier or rosier things, it wouldn’t ring true for me. I don’t think you need to be sad to write a sad song, everybody has a dark side», dice Tom Smith.

Recuperate liriche più cupe, vengono quindi riesumati anche synth e atmosfere anni ’80, ma sempre strizzando l’occhio a  basso e chitarra elettrica, con la partecipazione di una sezione d’ archi. Non cercano più di “imitare” qualcuno, piuttosto dopo aver esplorato diverse sonorità ora hanno trovato un proprio stile e lo confermano: uno stile che si fonda sull’avvolgente e calda voce del carismatico leader, ora baritonale, ora in falsetto, sempre intensa, sempre in grado di adattarsi sontuosamente  a ciò che la band, ormai chiaramente al suo servizio, gli propone. L’album è stato registrato a Crear, Scozia e mixato a Londra da Alan Moulder, già collaboratore di gruppi quali Arctic Monkeys, Placebo, Smashing Pumpkins, The Killers, Foo Fighters ed Interpol, tra i tanti. E per la prima volta fanno partecipare altri artisti alla registrazione, con Rachel Goswell degli Slowdive presente come voce nei cori di tre delle dieci tracce di “In Dream” (Ocean of Night, The Law e At All Cost).

 È “No Harm” ad aprire In Dream con un elettro pop minimale in cui Tom Smith alterna voce baritonale a falsetto, su un crescendo costante di tastiere e archi e di ritmi tribali fino all’ingresso della chitarra elettrica: un brano cupo dall’iniziale difficile digeribilità.

Con le prime note di “Ocean Of Night” assistiamo ad un cambio di registro, un’illuminazione delle ombre create dal primo brano, una ballata decisamente più ritmata di una melodia pop. Una continua progressione di tastiere, percussioni tribali e chitarra elettrica; un gioco di alternanze ritmiche, tra pianoforte e chitarra, e vocali, tra Smith e la voce calda e morbida di Rachel Goswell. Sicuramente uno dei pezzi qualitativamente migliori di In Dream. “Forgiveness” continua ad illuminare gli animi e le orecchie, con il suo andamento sostenuto in un mix di pop/rock ed elettronica. Un intro di violini apre e chiude “Salvation”, quarto e forse meno riuscito momento dell’album. Sorti subito risollevate da “Life Is A Fear”, destinata probabilmente a diventare presto un classico del quintetto inglese; una breve intro di batteria viene subito vestita da incalzanti tastiere synth, creando così un’atmosfera anni ’80 in stile, ormai, Editors. Il sesto brano, “The Law”, continua la vena elettronica dell’album con le sue tastiere fredde, il suo ritmo serrato ed intenso, le percussioni minimali, e lascia alla soffice e rassicurante voce di Rachel Goswell il coro principale. Il ritmo martellante di “Our Love” fa da contorno alla voce di Smith ora in falsetto, ora no, ora malinconica. Si arriva quindi all’ottavo e al nono brano: “All The Kings”, una sorta di post punk sintetizzato ed incalzante, sempre magistralmente interpretato dalla bellissima e versatile voce di Smith, precede la lenta ed eterea “At All Cost”, anch’essa con la partecipazione della Goswell.

In Dream si chiude con uno dei brani meglio interpretati da Tom Smith in tutta la sua carriera, i 7.46 minuti di “Marching Orders”. Un inizio quieto, un continuo e costante crescendo di synth e delle tastiere in lontananza che si avvicinano accompagnate da un organo. L’epicità cresce e si libera al minuto 2.20, con l’ingresso di batteria e pianoforte, che fanno da apripista per l’arrivo al minuto 3.10 della chitarra elettrica. Il resto lo fa, come consuetudine, la voce perfetta e carica di pathos di Tom Smith.

Concluso il primo ascolto di In Dream i fan di vecchia data potrebbero rimanere spiazzati, confusi: fatta eccezione per il secondo brano, la prima parte potrà lasciare inizialmente perplessi, pervasi da una sensazione di ibridismo mal riuscito tra le differenti identità assunte dal gruppo inglese nell’arco degli anni. Dategli invece una seconda chance, poi una terza, e avrete ascoltato un disco coeso, affascinante, originale in molti degli arrangiamenti e sintesi di stili e della cupezza della band negli altri. Non il miglior lavoro di Smith e soci, quello risale al 2007, ma quegli Editors non ci sono più, hanno nuovamente provato a reinventarsi rimanendo sé stessi. Ed è lodevole.

  • condividi:

LA CRITICA

Atmosfere plumbee, arrangiamenti elettro/pop/rock sintetizzati in un classicismo minimale anni ’80 e liriche noir  (ri)portano gli Editors ad un nuovo stile che affonda le proprie radici nella passata ecletticità  della band.

VOTO

7/10

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio