“Paese senza cappello”
di Dany Laferrière
Una discesa nell'aldilà haitiano popolato da divinità mai scomparse
di Claudia Gifuni / 16 novembre 2015
«Identifico completamente mia madre con il paese. Ed è seduta accanto a me sul taxi diretto ora a Martissant. La schiena incurvata dal dolore: mia madre, il mio paese».
Poco più di un ammasso roccioso sporco, povero e reso arido dall’impietoso sole dei Caraibi, ecco il varco per gli Inferi, ecco il profilo di Haiti. Una terra straziata dall’avidità umana, a cui però, sette milioni di corpi – la popolazione di Haiti contava circa 7 milioni di abitanti nel 1997, anno di pubblicazione del romanzo nella sua edizione originale Pays sans chapeau – continuano ad aggrapparsi tenacemente, in un miasma di sudore, strade polverose e baraccopoli affollate.
Per molti non è altro che il riflesso distorto e agonizzante di ciò che comunemente si definisce paese, per Dany Laferrière, invece, è semplicemente casa e Paese senza cappello (Nottetempo, 2015) narra il suo ritorno dopo venti anni di esilio trascorsi «laggiù», in Canada. È un Laferrière quarantenne quello che torna a calpestare il suolo natio ma, l’aspetto da uomo adulto si incrina immediatamente sotto il peso dei ricordi, rivelando al lettore quelle stesse fragilità adolescenziali che, due decadi prima, gli erano valse il nomignolo di Vecchio Osso.
Date queste premesse, si potrebbe erroneamente pensare di essere incappati nell’ennesimo romanzo tenuto assieme dai rimpianti e dalla nostalgia per un passato ormai perso. Niente di più falso. Laferrière è un abile indagatore dell’ambiguo, si muove scaltro tra verità camuffate e segreti appena accennati, giocando a intrecciare il proprio passato e presente con la dimensione atemporale del divino. Il risultato è un romanzo piacevole, dichiaratamente autobiografico e con il pregio di prendere spunto dalle vicende personali per raschiare la patina opaca di Haiti e mostrarne la complessa vitalità che la attraversa.
Paese senza cappello è un’incursione nel ventre caldo di Haiti, alla ricerca di quelle forze ancestrali e sotterranee che sembrano governarne le sorti ancora oggi. Nelle viscere di questa terra potente, dominata da superstizione e vudù, è custodito il passaggio che conduce al regno dei morti o, come viene chiamato qui, paese senza cappello per l’appunto. Pochi ne parlano e ancor meno sanno come traghettarvi un uomo ancora in vita per poi riportarlo indietro. Vecchio Osso è il prescelto poiché scrittore di professione e, dunque, dotato di quella capacità che consente di passare dal reale all’immaginario, senza smarrirsi nell’interstizio occupato dagli inganni della mente. E la parola scritta diviene rivelazione sacra, medium privilegiato con cui condividere la bizzarra epifania vissuta.
Bisogna però attendere la fine del romanzo per assistere a quel cambiamento di prospettiva bisbigliato per tutto il libro: la miseria materiale di Haiti è generosamente compensata dalla vastità spirituale che la pervade ed è quest’ultima a placare la fame degli animi così come a suscitare profonda inquietudine tra chi non sa credervi.
(Dany Laferrière, Paese senza cappello, trad. Cinzia Poli, Nottetempo, 2015, pp. 265, euro 16.50)
LA CRITICA
Con Paese senza cappello Laferrière si affaccia nel Regno dei morti, un aldilà popolato da divinità mai scomparse, tuttora potenti e venerate dalla popolazione. Unica pecca la rapida e inaspettata conclusione che può lasciare interdetto il lettore.
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