“La felicità è un sistema complesso” di Gianni Zanasi
Il ritorno dopo otto anni del regista di Non pensarci
di Francesco Vannutelli / 24 novembre 2015
Nel 2007 Gianni Zanasi si era fatto notare a Venezia con Non pensarci, commedia esistenziale sulla capacità delle scelte dei padri di influenzare le vite dei figli. Dopo tre film piccoli usciti tra il 1995 e il 1999, Zanasi si era finalmente imposto all’attenzione del pubblico e della critica grazie anche a un cast molto ispirato formato da Valerio Mastandrea, Giuseppe Battiston (vinse il David di Donatello) e Anita Caprioli. In anticipo sui tempi, prima di Romanzo criminale, Gomorra e Suburra, dal film venne tratta una serie tv prodotta da Fox, con lo stesso cast tecnico e artistico, che non fu proprio un successo per una serie di motivi (soprattutto il formato ibrido, con la durata di una sit-com e una struttura narrativa inadeguata). A distanza di ormai otto anni da Non pensarci è finalmente arrivato il momento del ritorno al cinema per Zanasi con La felicità è un sistema complesso, di passaggio fuori concorso al Torino Film Festival.
Enrico Giusti lavora per un grosso studio legale con un incarico molto particolare. È incaricato di convincere i dirigenti incapaci ad abbandonare le aziende di cui sono a capo, prima che le trascinino al fallimento. Enrico si avvicina, ci parla, ci diventa amico, e ottiene sempre la firma che cerca. Di solito si tratta di figli di papà che hanno ereditato tutto senza alcuna competenza specifica e che dopo il pressing morbido di Giusti finiscono per ritirarsi in qualche posto esotico a cercare loro stessi. Enrico cerca di svolgere il suo lavoro nel modo più etico possibile. Non è uno squalo, detesta il sistema, vuole smantellarlo dall’interno, o almeno è convinto di provare a farlo. Qualcosa cambia quando i giovanissimi Filippo e Camilla si ritrovano tra le mani l’impero dei genitori, morti in un incidente stradale. A Giusti viene chiesto di convincerli a cedere la loro quota di maggioranza, ma nei due ragazzi c’è qualcosa di diverso da tutti gli altri “figli di”, ed Enrico lo capisce in fretta, anche grazie all’aiuto dell’ex ragazza di suo fratello, piombata in casa sua da Israele con tutto il suo carico di stranezza e mistero.
Otto anni dopo, Gianni Zanasi si affida ancora a Valerio Mastandrea (e a Giuseppe Battiston, più in disparte, e a Teco Celio, e a Paolo Briguglia, che fa solo un cameo) per il suo ritorno al cinema che riprende più di una tematica da Non pensarci, cambiandone il contesto e la portata, ma mantenendone la natura esistenziale. È una storia di famiglie, quella di La felicità è un sistema complesso, che allarga il valore vincolante del rapporto famigliare già visto in nucleo ristretto in Non pensarci a un insieme più ampio. Ogni personaggio è condizionato dal rapporto con il padre, tranne Achrinoam, la ragazza israeliana, che però si trova a vivere le conseguenze dei padri degli altri. Il Giusti di Mastandrea è schiacciato dal fantasma del padre imprenditore, dovuto scappare in Canada per non finire in carcere dopo un fallimento senza colpa apparente e mai tornato. Battiston vive nell’ombra del padre titolare dello studio legale e sconfigge il vincolo a colpi di fughe in kayak o per via endovenosa. Il giovane Filippo si ritrova a dover decidere della vita delle persone e del loro odio troppo presto, senza aver neanche mai capito cosa facesse davvero il padre.
La felicità è un sistema complesso conferma tutta la capacità di Gianni Zanasi sia come regista che come sceneggiatore (anche qui è aiutato da Michele Pellegrini). È un peccato sia stato fermo così a lungo, anche perché probabilmente un’attività maggiore lo avrebbe aiutato ad affinare alcuni tratti del suo cinema che qui scoprono il fianco. Lo spirito punk e iconoclasta del primo film, incarnato ancora una volta da Mastandrea, è rimasto intatto, ma trova inevitabilmente nel personaggio di Giusti un interprete meno adatto del chitarrista Stefano Nardini del primo film. Giusti è parte del sistema che vuole combattere e si ritiene consapevolmente un sabotatore dall’interno. Non è l’estraneo e non è neanche un affarista spietato, è un ibrido senza una precisa identità e senza una precisa evoluzione, che affida a un tuffo in piscina il suo momento di rottura per poi tornare più inquadrato di prima.
Se Zanasi ha il merito non da poco di riuscire, senza eccessivi intenti sociologici, di raccontare ancora una volta la crisi dalla parte dei ricchi, di chi produce e dà lavoro agli altri, come regista si lascia però prendere eccessivamente la mano dalla ricerca dello stile, con un’esagerazione di rallentatori e momenti musicali – nonostante una colonna sonora perfetta, affidata a Niccolò Contessa de I Cani – che si ripetono troppo uguali tra loro in un “sorrentinismo” eccessivamente dichiarato (anche Battiston alla Titta Di Girolamo è un po’ troppo).
Però c’è Valerio Mastandrea, e Valerio Mastandrea basta sempre, maschera tragica e comica allo stesso tempo, con un’aria alla Raimondo Vianello che mette insieme inadeguatezza e ironia, fragilità e determinazione.
(La felicità è un sistema complesso, di Gianni Zanasi, 2015, commedia, 117’)
LA CRITICA
Valerio Mastandrea tiene insieme l’atteso ritorno al cinema di Gianni Zanasi che conferma ancora una volta la capacità del regista di raccontare con ironia sofferta la difficoltà di vivere all’ombra dei genitori al tempo della crisi, mostrando però un’ostinazione nella ricerca dello stile che finisce per essere debolezza.
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