“Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick”
di Ron Howard

In viaggio sulla rotta del mito

di / 4 dicembre 2015

Alle origini di Moby Dick, il romanzo fondamentale di Herman Melville, c’è una storia vera e poco conosciuta, quella del naufragio, nell’inverno del 1820, della baleniera Essex, partita più di un anno prima dal porto di Nantucket e distrutta lungo una rotta inesplorata nell’Oceano Pacifico da un gigantesco capodoglio. L’equipaggio venne decimato dal cetaceo che attaccò la nave e le scialuppe con una ferocia mai registrata prima tra le balene. I racconti di quel naufragio dei pochi sopravvissuti sconvolsero Herman Melville che ne fece la base di partenza per il suo capolavoro.

A raccontare per la prima volta la storia dell’Essex è stato lo scrittore esperto di mare Nathaniel Philbrick, che nel 2000 si è aggiudicato il National Book Award per la saggistica con il suo Il cuore dell’Oceano. Il naufragio della nave Essex (in Italia è stato pubblicato da Elliot nel 2013). Da quel libro, oggi, viene tratto Heart of the Sea –Le origini di Moby Dick, che sposta la ricerca di Philbrick su un piano di avventura molto più vicina al cinema spettacolare di Ron Howard.

La nave Essex è pronta a partire per fare rifornimento di olio di balena per il mercato di Nantucket. Il primo ufficiale Howard Chase si vede scavalcare, ancora una volta, nelle gerarchie dall’aristocrazia dell’isola che impone al comando il capitano Polard, alla prima spedizione. Per trovare nuovi banchi di balene, Polard e Chase decidono di spingere la Essex verso nuove rotte inesplorate. È a mille miglia a largo dell’Oceano Pacifico che la nave viene attaccata da un enorme capodoglio che la fa colare a picco. Anni dopo, lo scrittore Herman Melville arriva a Nantucket per raccogliere la testimonianza di Thomas Nickerson, uno dei pochi sopravvissuti della missione. Nel 1820 era un ragazzino di quattordici anni. Quando arriva Melville è un uomo distrutto dall’alcol e dai ricordi di quel naufragio di cui non riesce a liberarsi.

Nathaniel Hawthorne definì Moby Dick il libro centrale dell’epica americana e il suo autore Melville l’Omero della narrativa statunitense. Con Heart of the Sea siamo invece dalle parti di quell’epica cinematografica classica che non si vedeva da un po’ di tempo a Hollywood. Fedele alla sua linea, Ron Howard ha realizzato un film di uomini e della loro capacità di reagire quando vengono messi alle strette dalle difficoltà, con la loro ostinata volontà di superare ogni difficoltà.

Non c’è lo scontro tra uomo-natura al centro di questo viaggio alle origini di Moby Dick. Anche la balena si vede poco, la sua presenza è minacciosa solo quando compare, non c’è il senso costante del pericolo in agguato nel mare, della sua grandezza che incombe sempre sull’equipaggio della Essex. L’attenzione si concentra sugli uomini a bordo, sul loro momento immediato del presente, stringendo anche il campo visivo sulla nave, sui volti e sui movimenti, senza mai aprirsi in panoramiche ampie che abbraccino la vastità dell’oceano, ma rimanendo vicino alle lance in caccia, alle manovre sul veliero. Tutto, ancora di più che sull’equipaggio, è su Howard Chase, il primo ufficiale, navigato uomo di mare ma figlio di contadini, lontano dall’aristocrazia marinara di Nantucket e per questo bloccato nella carriera, con il suo incarico di capitano che continua a essere rimandato alla prossima spedizione, nonostante le promesse,  per lasciare spazio alle grandi famiglie dell’isola. È lui l’antitesi del capitano Polard, figlio e nipote di capitani, alla prima esperienza in mare e alla costante ricerca di una prova che ne certifichi il valore, che attesti la sua presenza a bordo per il merito dell’azione e non del sangue. È tutto sullo scontro sull’autorità e l’autorevolezza che si concentra la prima parte del film, con il capitano nuovo Agamennone e Chase nei panni di Achille, per rimanere nell’ambito del paragone con Omero.

Come intrattenimento puro, Heart of the Sea funziona senza flessioni. Le tempeste, gli inseguimenti ai capodogli, l’azione grandiosa sullo spazio ristretto della Essex, inchiodano allo schermo, anche se l’esubero di CGI è evidente e dà al film quella patina di finto che ormai caratterizza ogni grande produzione hollywoodiana. A mancare è l’in più, quella dimensione letteraria che l’avvicinamento a Melville rendeva lecito attendersi e che Ron Howard ha dimostrato, anche di recente con Rush, di saper maneggiare. Certo, qui manca il contributo in sceneggiatura del drammaturgo Peter Morgan, ma siamo davvero di fronte a uno sforzo di scrittura minimo. Del resto, non è quello il fulcro del film ma l’immagine, il mare, la balena, le difficoltà dell’equipaggio. Però, proprio per questa maggiore attenzione allo spettacolo, nella seconda parte, quella successiva al naufragio, più riflessiva, di logorante attesa, Heart of the Sea perde di intensità, non riuscendo ad accompagnare il rallentamento del ritmo con un lavoro che vada più nella profondità dei personaggi e dei dialoghi. E al contrario dell’Essex finisce per rimanere sulla superficie, senza spingersi a fondo degli abissi  umani.

(Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick, di Ron Howard, 2015, azione, 121’)

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LA CRITICA

Spettacolare film epico fedele a un tipo di cinema che Hollywood non produce più con la stessa frequenza, Heart of the Sea ha una prima parte dinamica e frenetica di cacce e tempeste che rende giustizia all’idea del cuore del mare. Finisce per perdersi, però, quando il ritmo rallenta e rimangono solo i naufraghi alla deriva.

VOTO

6/10

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effe

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