“Occhi blu capelli neri”
di Marguerite Duras
Due solitudini sofferenti che s’incontrano
di Marta Guido / 14 dicembre 2015
«Nessun amore vale l’amore», a pronunciarsi così è Marguerite Duras e con Occhi blu capelli neri (Feltrinelli, 1989) la scrittrice ci mostra una prova di come e dove l’amore può arrivare a scompigliare l’esistenza, anche, e forse soprattutto, nella versione più terrificante e magnifica allo stesso tempo.
La quarta di copertina recita: «Leggete il libro. In ogni caso, anche se gli siete ostili per principio, leggetelo. […] Continuate a leggere e, all’improvviso, è la storia che avete attraversato, con le sue risa, la sua agonia, i suoi deserti. Sinceramente vostra Duras»; non solo un invito, uno slancio per i lettori, ma in questa lettera di prefazione è racchiusa la personalità di Marguerite Duras, una donna forte, eccentrica che dominava le parole, ma più spesso lasciava che erano esse a dominarla.
La capacità della Duras è quella di riuscire a scrivere dell’indescrivibile, dell’indicibile, lei non sa cosa vuole scrivere, lo può riconoscere solo dopo l’atto. Occhi blu capelli neri è una storia tra due amanti, una storia sospesa, teatrale, in cui la scrittrice non ha assegnato nomi ai personaggi; li chiama lei e lui, non si conoscono e al lettore spetta la stessa via. I due protagonisti s’incontrano una sera in un hotel, quasi per caso, e da lì iniziano a cercarsi, scoprendo un modo particolare affinché non si perda l’altro.
L’intero romanzo è ambientato in una camera, dove i due amanti s’incontrano, piangono, fanno l’amore senza toccarsi, in silenzio, distratti dallo sciabordio del mare. Non si prendono mai i due protagonisti, ed è come se il lettore non afferri appieno neanche le parole, non si coglie bene il loro centro, parole così vere, così inafferabili.
Roland Barthes in Frammenti di un discorso amoroso parlava dell’angoscia provocata dall’amore, quando il soggetto amoroso si sente trascinato da questa sensazione di pericolo, di abbandono, e come lui, la Duras scrive nel romanzo: «Quando si avvicina a lei, si vede che è colmo della gioia di averla trovata e dell’angoscia di doverla perdere ancora. Ha il pallore degli amanti. I capelli neri. Piange».
Due cuori in pena e una tra le più alte di ossessioni: «Una notte. Lei gli chiede se potrebbe farlo con la mano, senza per questo avvicinarsi, senza neppure guardare. Lui dice che non può. […] Se accettasse rischierebbe di non volerla più vedere, mai, e forse anche di farle del male. Dovrebbe lasciare la camera, dimenticarlo. Lei dice che è il contrario, non può dimenticarlo. Che, dal momento che fra loro non avviene niente, resta il ricordo, ossessivo, di ciò che non avviene». Lui soffre, si deprime, piange, non riesce ad attaccarsi più alla vita, resta lontano da ogni forma di movimento vitale.
Secondo Lacan la Duras riusciva a incastrare nella letteratura, nei suoi romanzi, quello che lui teorizzava, permettendo di far parlare l’inconscio; lo stesso Freud credeva che l’artista precedesse sempre lo psicanalista, che gli scrittori sono degli alleati preziosi poiché conoscono qualcosa di inaccessibile al sapere accademico.
Claustrofobico, coinvolgente e teatrale, il lettore legge le pause della storia come se le tende calassero, è la scrittrice a lasciare degli spazi bianchi per far sentire meglio quello spazio vuoto. Molto curata la forma stilistica, un romanzo sperimentale, accompagnato da una scrittura che si riconosce subito come unica: «Lui chiede ancora com’era quell’amore, com’era vissuto. Lei dice: “Come un amore che ha un inizio e una fine, indimenticabile anche quando lo si è dimenticato, non ricordo più”».
La Duras lascia un anelito a una storia che – forse – è costretta a non durare, non resta nulla ai due amanti probabilmente, ma questa storia resterà fissa nella mente del lettore, come quando la puntina del chiodo, impercettibilmente, entra nella parete del muro.
(Marguerite Duras, Occhi blu capelli neri, trad. di Laura Guarino, Feltrinelli, 1989, pp. 136, euro 6,50)
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