“The End of the Tour” di James Ponsoldt
In viaggio con David Foster Wallace e Infinite Jest
di Luigi Ippoliti / 16 febbraio 2016
Tratto da Come diventare se stessi (minimum fax), The End of the Tour è la trasposizione cinematografica firmata James Ponsoldt dell’intervista che David Lipsky fece a David Foster Wallace durante gli ultimi cinque giorni del tour promozionale in giro per gli Stati Uniti di Infinite Jest. I due scrittori non si conoscevano, non si erano mai incontrati. Da quell’incontro, voluto da Rolling Stone per realizzare un servizio su Wallace come mito in costante crescita, nacque una di quelle amicizie potenti e assolute destinate a durare pochissimo.
Cosa è stato Wallace per la letteratura degli ultimi venti anni e cosa sia diventato dopo il suicidio nel 2008 è cosa ben nota: se ne è parlato ovunque e in qualsiasi modo, si è dibattuto della potenza delle sue opere, della sua visione capillare della società americana, per alcuni era un furbo impostore, per altri una divinità. Dall’anno della morte sono state pubblicate, solo negli Stati Uniti, dodici monografie, è uscito il suo romanzo postumo, Il re pallido, sono stati scritti articoli, tesi di laurea, è stato realizzato un (brutto) film dal suo libro Brevi interviste con uomini schifosi. In futuro, forse, arriverà una serie tv su Infinite Jest targata Martin Scorsese. Come per ogni personaggio ingombrante, infine, la sua morte ha portato in modo quasi naturale a schierarsi in maniera retorica nei suoi confronti – magari non più come letterato, magari come icona: da una parte chi lo odia, dall’altra chi lo ama.
È proprio in questo che The End of the Tour funziona: l’equilibrio. Non siamo di fronte né a un’agiografia, né a un tentativo di screditare l’opera di una scrittore. Tracciare un profilo, seppur parziale, di un personaggio come Wallace, oggi, è un lavoro delicato. Wallace è un autore che più di chiunque altro ha saputo, negli ultimi anni, essendone parte attiva e non solo antitesi, plasmare l’idea di ciò che erano e sono gli Stati Uniti contemporanei (e di riflesso il mondo occidentale): le ossessioni, le dipendenze, la tv, lo sport, il cibo spazzatura, la depressione, il suicidio, diventando per ciò – soprattutto per come si è sviluppata l’immagine collettiva del Wallace dopo la morte – l’incarnazione stessa della cultura americana. Ha avuto e ha la scomoda, o comoda, posizione di aver incarnato e di incarnare ancora gli aspetti virtuosi e i loro opposti di una cultura antropologicamente ambigua. Wallace era a tutti i livelli la materia di cui parlava. Tornando indietro di qualche anno, in un’altra America, quando Hemingway parlava di caccia, Hemingway era la caccia. Allo stesso modo, quando Wallace parlava di tv, Wallace era la tv.
La possibilità, dunque, di schierarsi da una parte o dall’altra della barricata era senz’altro un rischio probabile, un po’ per moda, un po’ per convinzione. Ponsoldt, invece, è riuscito a far muovere, in quello che a tutti gli effetti è un road-movie nella psiche dello scrittore nato a Itacha, un David Foster Wallace (e ovviamente un David Lipsky, di cui per ovvie ragioni si sa e si immagina meno) che appare drammaticamente naturale. Al centro di The End of the Tour c’è la fragile complessità di Wallace come uomo, non come scrittore.
Tipico esponente del cinema indipendente americano da Sundance, James Ponsoldt si è fatto notare definitivamente nel 2013 con The Spectacular Now, premiato in vari festival in giro per gli Stati Uniti e trampolino di lancio per i giovani protagonisti Miles Teller (quello di Whiplash) e Shailene Woodley (quella della serie Divergent). Con The End of the Tour ha avuto il coraggio di alzare il tiro del suo cinema (non lo abbasserà, in futuro: sta realizzando un film tratto da Il cerchio di Dave Eggers) confrontandosi con un’icona della cultura mondiale contemporanea.
Per farlo si è affidato a Jason Segel, famoso soprattutto per le sue parti comiche e per aver interpretato Marshall Eriksen nella sit-com How I Met Your Mother, ma di cui già si intravedeva la potenzialità nell’interpretare questo tipo di personaggio introverso e fragile nel film mumblecore A casa con Jeff, e a Jesse Eisenberg, noto per esser stato Mark Zuckerberg in The Social Network di David Fincher. Ha fatto benissimo. I due si conoscono, si piacciono, discutono, ridono, si invidiano, si innervosiscono: vivono una vita compressa in cinque giorni, andando a esplorare i vari lati dell’essere umano, della propria individualità, della capacità e dell’incapacità comunicativa, del compromesso intrinseco che scatta nel momento in cui bisogna relazionarsi con ciò che non è noi stessi, e lo fanno in maniera così naturale da poter interessare anche chi, dell’opera o della vita di David Foster Wallace, sa poco o nulla.
(The End of the Tour, di James Ponsoldt, 2015, biografico/drammatico, 106’)
LA CRITICA
The End of the Tour è un film riuscitissimo nonostante le potenziali difficoltà. Un film che senza giudicare mai, getta uno sguardo su un autore intrappolato nelle proprie angosce. Un uomo che, in qualche modo, è diventato il prodotto di se stesso.
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