“Yerma”
di Federico García Lorca
La genitorialità insoddisfatta ieri, oggi… domani?
di Federica Imbriani / 1 aprile 2016
Lo Yerma, di Gianluca Merolli, tratto dall’omonima opera teatrale di Federico García Lorca, tradotto e adattato da Roberto Scarpetti, è il dramma della sterilità di una donna che, nomen omen, è condannata al deserto, alla solitudine e all’aridità sia personale, ma anche del soffocante contesto sociale in cui è prigioniera.
Yerma desidera a tutti i costi avere un figlio, e averlo dal marito, per liberarsi della convinzione di avere veleno al posto del sangue, di essersi in qualche modo disseccata. Un senso d’inadeguatezza e d’incompletezza che si trasforma in ossessione e si amplifica nell’aridità di un contesto sociale fatto di gente che l’accusa di non essere una donna vera. L’unica soluzione di questo strazio crescente, accresciuto dall’ansia di tenere in equilibrio un traballante e rigido concetto di onore, sarà il gesto estremo dell’omicidio. L’assassinio della possibilità di avere un figlio, dello stesso desiderio di fertilità, il frutto marcio della disperazione. Yerma muore nella sua carne viva e partorisce altra morte nel momento in cui scopre che il suo uomo, a cui lei si consacra, non condivide il suo desiderio di genitorialità, ma che, al contrario lo osteggia attivamente.
Quest’opera di García Lorca scritta nel 1934 e pubblicata nel 1937, dimostra una grande attualità: in essa l’autore andaluso sembra anticipare le domande più recenti sulla bioetica e sul diritto alla procreazione, inserendosi a pieno titolo nell’attuale dibattito sulla procreazione assistita e sul diritto alla genitorialità, con una posizione moderna e laica.
La scelta stessa di rappresentare questo testo difficile e poco frequentato, da conto della posizione di Merolli all’interno del dibattito che infiamma l’opinione pubblica di questi tempi. Del resto il teatro è sempre, in qualche modo, una scelta politica, un mezzo per parlare alla platea attraverso molteplici livelli, per questo, all’interno di una scena intrisa di figure simboliche e metafore che rendono le scene di Alessandro Di Cola un paesaggio suggestivo ed evocativo, stride la “Clinica Cirinnà” che cade dall’alto in un paesaggio archetipale altrimenti avulso da ogni contesto temporale e geografico.
Si legge, infatti, nelle note di regia che «qui non abbiamo di fronte Maria, Juan o Victor, ma lo Sposo, la Sposa, l’Amante, la Vecchia» per questo gli infermieri abbigliati come alieni, camice bianco e siringona annessa, distraggono e distolgono dalla linearità di una messa in scena altrimenti molto intensa e immaginifica. Al contrario, sono efficacissimi e onirici le maschere, i tappeti che delimitano lo spazio, la vecchia plurale sotto un’enorme parrucca di ferro, gli occhi-fari delle cognate che scrutano l’intimità di Yerma, i movimenti scenici curati da Luca Ventura e le melodie di Maurizio Rippa.
Yerma
di Federico García Lorca
regia di Gianluca Merolli
Con Elena Arvigo, Enzo Curcurù, Gianluca Merolli, Giulia Maulucci e Maurizio Rippa
Roma – Teatro Vascello, dal 29 marzo al 3 aprile.
LA CRITICA
Le domande di oggi sulla bioetica e sul diritto alla procreazione compaiono sulla scena, affidate a un cast di attori affiatati. La scelta teatrale come scelta politica, che inciampa qui e lì nell’ingombro dei tappeti e nella tentazione di uscire dalla metafora per stringere la mano in maniera vigorosa all’attualità.
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