“10 Cloverfield Lane” di Dan Trachtenberg
Quando il franchise diventa un limite
di Francesco Vannutelli / 29 aprile 2016
È difficile trovare l’esatta collocazione per un film come 10 Cloverfield Lane. Partendo con ordine, nel 2008 uscì un piccolo film di nome Cloverfield che fece molto parlare di sé. Costato “solo” 25 milioni di dollari, è arrivato a incassarne centosettanta in tutto il mondo, ridefinendo un po’ di cose nel modo di fare cinema. Di fatto, è un horror fantascientifico con la Terra attaccata da una qualche misteriosa e potentissima forza aliena. La caratteristica principale è che tutto il film è girato come se fosse un found footage, del materiale realmente girato e trovato da qualcuno. La prima cosa che compare sullo schermo è un avviso che informa che il materiale che si sta per mostrare è proprietà degli Stati Uniti d’America. Seguono 85 minuti di riprese fatte con la telecamera a mano dell’invasione.
Dietro il progetto c’era la produzione di J.J. Abrams, la regia di Matt Reeves e la sceneggiatura di Drew Goddard. A gennaio di questo anno, un primo trailer (lo trovate in fondo all’articolo) annunciava l’arrivo di 10 Cloverfieled Lane. Non si capiva molto della trama se non che c’era molta tensione e che dietro a tutto c’era ancora la Bad Robot di J.J. Abrams. Dopo l’enorme successo del primo Cloverfield si era parlato più volte della possibilità di un seguito, prima che Matt Reeves e J.J. Abrams migrassero verso più importanti progetti cinematografici (il franchise di Il pianeta delle scimmie il primo e quello di Guerre stellari il secondo).
In realtà, riuscire a immaginare un seguito vero e proprio per il film del 2008 sembrava una casa difficile. Non erano stati lasciati margini di apertura, dalla trama, Cloverfield funzionava così come era, senza il bisogno di andare avanti. Per portare avanti il marchio, Abrams e soci hanno pensato di sviluppare un film parallelo (J.J. lo ha definito «consanguineo»): stesso contesto ma una trama completamente nuova.
Inizia con una donna in fuga, 10 Cloverfield Lane. Una casa lasciata, un anello abbandonato e una fuga in macchina. Intanto la terra trema, ma non sembra importante. Mentre guida e rifiuta telefonate, quella donna finisce fuori strada e perde i sensi. Quando si risveglia è legata in una cantina. Un uomo l’ha trovata e l’ha portata lì, si prende cura di lei e le dice che non può lasciare quel posto perché fuori è in corso un’invasione aliena con l’uso di armi batteriologiche. Ovviamente è difficile credere a un simile delirio, ma in quella cantina che in realtà è un bunker c’è un altro uomo che ha scelto di nascondersi lì quando ha visto gli alieni arrivare. Forse non è paranoia, forse è tutto vero e quel rifugio è l’unico posto sicuro rimasto al mondo. Forse.
La cosa paradossale di 10 Cloverfield Lane è che trova il suo limite principale nel dover essere infilato a tutti i costi all’interno di un franchise già esistente. Intendiamoci, l’idea dei film paralleli che sta iniziando a diffondersi sempre più a Hollywood con l’esplosione degli universi cinematografici ha i suoi elementi di grande suggestione. In un film come questo, però, che si basa tutto sulla tensione e sulle verità da interpretare, finisce per essere una debolezza. Lo spettatore che ha già visto Cloverfield sa che il “carceriere” non è uno psicopatico (almeno per le paranoie aliene), il che finisce per indebolire la poderosa doppia tensione che attraversa tutto il film. Il copione originale, The Cellar, scritto da John Campbell e Matt Stuecken, doveva portare a un film indipendente. È solo in un secondo momento, con l’intervento di Damien Chazelle (quello di Whiplash) in scrittura, che il film è entrato nel mondo di Cloverfield.
È lecito pensare che se fosse stato un film autonomo avrebbe potuto avere un impatto ancora maggiore, con lo spettatore che si sarebbe potuto trovare ancora più spiazzato da quello che si vede sullo schermo. Senza dubbio, comunque, siamo di fronte a un film di intrattenimento di rara intelligenza e presa, capace di giocare con i diversi generi cinematografici spaziando dall’horror al catastrofico, passando per la commedia familiare e il thriller senza mai perdere di ritmo e tensione narrativa. Proprio la tensione è la forza che alimenta 10 Cloverfield Lane viaggiando tutto il tempo su due livelli: la paura del fuori e quella del dentro. Il bunker è l’unico rifugio dell’umanità o è il posto più pericoloso del mondo?
John Goodman va oltre la sua consueta bravura nel costruire l’a dir poco ambiguo padrone di casa Howard, mentre Mary Elizabeth Winstead – già vista in Grindhouse di Tarantino – è pronta a imporsi come nuova eroina del cinema d’azione in quei seguiti che sembrano già inevitabili. Perché nel finale l’inserimento a tutti i costi del film sotto il marchio “Cloverfield” si rivela per quello che è: il tentativo di lanciare un nuovo filone cinematografico da sfruttare. Ed è un peccato, perché, come succede sempre più spesso, il pensiero del film che potrebbe arrivare dopo finisce per compromettere quello che già c’è.
(10 Cloverfield Lane, di Dan Trachtenberg, 2016, azione, 105’)
LA CRITICA
10 Cloverfield Lane riesce a creare una fusione di generi in un prodotto di intrattenimento intelligente e carico di tensione. La volontà, però, di infilare a tutti i costi il film all’interno di un franchise da rilanciare finisce per essere un limite.
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