“L’uomo del futuro” di Eraldo Affinati
Una storia del passato, per affrontare il futuro
di Antonio D’Ambrosio / 22 giugno 2016
Quando lo scorso 15 giugno è stata votata a Casa Bellonci la cinquina finalista del tanto prestigioso quanto dibattuto Premio Strega, Eraldo Affinati e il suo L’uomo del futuro (Mondadori, 2016) si sono guadagnati la seconda posizione con ben 160 voti a favore, tutti meritati. Sì, perché si tratta di un libro narrativamente innovativo, che s’innalza rispetto al vasto mare di tanta narrativa odierna che fa della spettacolarizzazione del sentimento il proprio cavallo di battaglia. E in questo caso, di materia del genere ce ne sarebbe stata fin troppa.
L’uomo del futuro che declama il titolo a caratteri verdi è il celebre don Lorenzo Milani; Affinati ha cercato di ricomporre il puzzle della sua esistenza inseguendo i luoghi che lo hanno visto crescere, lavorare, dedicare la vita agli altri e a Dio: dalla natia Firenze alla Milano degli anni Trenta, dal periodo in cui manifestava le sue velleità pittoriche alla vocazione, dalle sfarzose ville di campagna di Montespertoli e Castiglioncello all’esperienza clericale presso San Donato di Calenzano e Barbiana, per ritornare poi a Firenze, l’ultimo tassello che chiude il cerchio della vita del sacerdote proprio nel punto in cui si era aperto.
Affinati arricchisce il suo già folto curriculum con un nuovo romanzo, che grazie all’uso di un’avvincente tecnica narrativa, che si può dire lo renda quasi un unicum nel panorama narrativo contemporaneo, non finisce per essere l’ennesimo saggio sul prete di Barbiana. Ciò che desta di più l’attenzione è l’uso magistrale di un narratore che espone le vicende in seconda persona, rivolgendosi direttamente a un “tu” che va alla ricerca del passato di don Milani. E se all’inizio si ha coscienza che questo “tu” sia proprio l’Affinati-personaggio, già alla decima pagina si avverte l’impressione che in realtà quel “tu” sia un “noi”, e il lettore inderogabilmente diviene il personaggio di una storia che vive indirettamente.
L’autore, ripercorrendo le tappe più significative della vita di don Milani, chiama a testimoni le persone che gli sono state vicine, sia studenti che colleghi, i carteggi, depositari dei rapporti più intimi e privati, nonché le opere del prete stesso, che più di tutto rendono giustizia al suo credo, sia religioso che umano. Figura ribelle sin da bambino, che non riusciva a vestire i panni dell’uomo rispettoso delle regole, ha votato la sua vita agli altri, fino all’ultimo respiro, quando al capezzale ha voluto attorno a sé i suoi ragazzi, perché si trovassero faccia a faccia con la morte, preparandoli così alla vita.
E oggi la Barbiana dove ha operato Lorenzo esiste ancora, ma «non è più in Mugello: Barbiana è in Africa, è nel Medio Oriente, Barbiana è una comunità musulmana, Barbiana è nell’America latina», è anche a Roma, dove in nessuna parrocchia si riesce a trovare un’aula in cui insegnare l’italiano a chi ne ha bisogno: sono tutti quei luoghi difficili che Affinati racconta in capitoli alternati a quelli dedicati alla ricerca di don Milani.
Dopo tutti questi discorsi, facciamoci una domanda che sicuramente ci siamo posti sin da quando abbiamo squadrato la copertina: perché pubblicare un libro su don Milani l’anno precedente al cinquantesimo anniversario della morte? Perché non aspettare un altro po’? E diamoci anche l’unica risposta possibile, la più semplice: per l’urgenza della materia, per la necessità di raccontare un’esperienza passata che possa aiutare ad affrontare il futuro. Qui e ora, quando ne abbiamo più bisogno.
(Eraldo Affinati, L’uomo del futuro, Mondadori, 2016, pp. 180, euro 18)
LA CRITICA
Con una tecnica narrativa (av)vincente, una penna acuminata e una scrittura cristallina, Affinati ha dato vita a un organismo originale, che parla a cuore aperto a tutti noi.
Comments