“Vangelo Yankee” di Nicolò Gianelli
L’ultimo lungo sogno letterario del giovane autore modenese
di Chiara Gulino / 17 ottobre 2016
Se On the Road di Jack Kerouac è stato uno dei libri simbolici degli anni Cinquanta americani, una specie di Bibbia per intere generazioni di ragazzi che intendevano sovvertire le convenzioni, lanciandosi per le strade di una nazione geograficamente sterminata, culturalmente variegata e inafferrabile, Vangelo Yankee. America non è (’round midnight edizioni, 2015) di Nicolò Gianelli, prematuramente scomparso nel luglio 2015, condivide la stessa dimensione mitica di un viaggio attraverso le sconfinate distanze degli Stati Uniti senza altra speranza che quella vana di esorcizzare l’ansia e il male di vivere, inseguendo una vita meno scontata e priva di senso.
Vangelo Yankee è l’ultimo lungo sogno letterario di Gianelli: «L’America non è solo un continente. Non è solo la terra, le rocce, le spiagge, le sequoie. L’America è un immaginario collettivo, è un lungo sogno che ha attraversato le nostre vite».
È un viaggio alla scoperta di se stessi, di entusiasmo e di dubbi, di inquietudine e di tante domande, di vie che interrogano e si fanno interrogare.
La voce narrante, alter ego dell’autore, fa della ricerca di Kristof Katrakausky Kazachenko, di questa smania tormentosa raccontata a ritroso, a partire cioè dalla fine, a rebour, controcorrente al tempo e allo spazio, dal deserto ai grattacieli di New York, l’essenza stessa del suo personaggio e della società circostante. Del resto, è piuttosto reticente su se stesso. Non c’è un suo ritratto a tutto tondo. Parla di sé per sottrazione o per interposita persona tramite i personaggi che incontra e che diventano i veri protagonisti. Eppure è una figura cardine che trasforma Vangelo Yankee da romanzo di viaggio a romanzo di formazione.
A interessare è innanzitutto la realtà dell’essere umano, quel nocciolo inafferrabile dell’identità individuale di ciascuno, una realtà che diventa sempre più fragile e sottile e che sembra progressivamente erosa dalla società.
Gianelli è abile, con una lingua e uno stile gradevoli, a mantenere acceso, pagina dopo pagina, un senso di irrequietezza appena sotto la superficie che lambisce la vita di cose e persone.
A differenza del capolavoro di Kerouac, dove si avverte, sin dalla prima pagina, l’avidità giovanile di vita, anche se di una vita irregolare, da outsider, borderline, innaffiata da fiumi di alcol e anestetizzata da droghe, nello scrittore modenese è strisciante la familiarità con la morte. Non con la grottesca morte che avrebbe potuto toccargli nel tentativo di liberarsi la vescica nel giardino della Casa Bianca, ma con quel nulla che tutto fagocita e rende vano.
L’autore procede per brevi capitoli a se stanti, come fossero tante fotografie sparpagliate, e si abbandona, senza pentimento o rete di protezione, al racconto del tentativo di riallacciare i fili della propria vita a partire dalle radici che potrebbero avere a che fare con la fantomatica figura di Kristof Katrakausky Kazachenko.
(Nicolò Gianelli, Vangelo Yankee. America non è, ’round midnight edizioni, 2015, pp. 248, euro 9)
LA CRITICA
Il protagonista di Vangelo Yankee, lanciandosi in un’avventura on the road attraverso gli Stati Uniti, ci insegna a guardare le cose con occhi aperti come fosse l’ultima volta per vivere una vita meno banale.
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