“Genius”
di Michael Grandage

Biografia d’artista con tutti i cliché del caso

di / 4 novembre 2016

Poster italiano di Genius su Flanerí

La figura del genio è sempre pericolosa quando arriva il momento di raccontarla. Si corre il rischio di esagerare, di perdere la misura e cadere negli stereotipi che rendono gli uomini di ingegno così affascinanti e sfaccettati. Genius, l’esordio alla regia di Michael Grandage, cade senza appello in tutti i trabocchetti che una biografia d’artista sa tendere, e lo fa fin dalla prima inquadratura.

Partendo dalla biografia di A. Scott Berger Max Perkins. L’editor dei geni, di grande successo negli Stati Uniti e ripubblicata lo scorso ottobre da Elliot, Genius racconta la storia vera del rapporto tra lo scrittore Thomas Wolfe e il suo editor Max Perkins.

Alla fine degli anni Trenta, Wolfe ha già fatto leggere il suo manoscritto Angelo, guarda il passato: La storia di una vita sepolta a tutti i più importanti editori di New York. Nessuno gli ha offerto un contratto. La sua ultima speranza è Max Perkins, l’editor della Scriber’s Sons che ha scoperto Hemingway e Scott Fitzgerald. Perkins rimane folgorato dal romanzo e inizia subito a lavorarci con Wolfe. Tra i due nasce un rapporto molto profondo che va oltre il piano professionale.

La prima inquadratura di Genius mostra Jude Law nei panni di Thomas Wolfe in piedi sotto il diluvio. Sta osservando il palazzo della Scriber’s Sons battendo nevroticamente il piede nella pioggia, stringendosi nel cappotto ma senza ripararsi dall’acqua. Il messaggio di Grandage è chiaro: qualora non lo abbiate già capito dal titolo, siamo di fronte a un film su un genio tormentato, tutto eccessi e sregolatezza.

Non c’è neanche un momento in cui Genius prova a evitare i cliché delle biografie d’artista. Le trappole del luogo comune e dell’eccesso non sono evitate ma anzi sono calpestate con lo stesso slancio di un bambino che si tuffa in una pozzanghera.

C’è la passione per la musica maledetta, per l’alcol, per le droghe, per gli eccessi in generale. Ci sono i viaggi, il ciuffo ribelle, i discorsi megalomani, l’affetto profondissimo che diventa ingratitudine e poi pentimento. C’è tutto quello, in sostanza, che ci si può aspettare da un racconto stereotipato.

Eppure Genius, che è stato presentato in concorso al Festival di Berlino 2016 per poi passare anche alla Festa del Cinema di Roma, aveva un potenziale. Un buon cast, con Colin Firth (Perkins) a duettare con Law e Nicole Kidman e Laura Linney a fare le donne di contorno, uno sceneggiatore importante come John Logan che ha lavorato con Scorsese (The Aviator; Hugo Cabret), Aronofsky (Noah) e Sam Mendes (Skyfall e Spectre), e un regista esordiente ma con un ottimo curriculum teatrale alle spalle.

Forse sono proprio i possibili punti di forza gli elementi di maggiore debolezza di Genius. Law e Firth fanno a gara a chi esagera. Da un lato Jude Law va sopra le righe subito e non riesce neanche per un istante a limitarsi alla normalità. Dall’altro Colin Firth punta tutto su una compostezza troppo rigida, senza mai un eccesso. Si capisce in fretta che Grandage non è in grado di gestire il film. Abituato all’impianto teatrale, il regista finisce per dimenticarsi che sta sfruttando un mezzo diverso e presenta Genius come se fosse un dramma. Passano gli anni, ma i personaggi sono sempre uguali, addirittura vestiti allo stesso modo, con Firth/Perkins sempre con il suo cappello in testa. Sembra passare una settimana, invece si va dal ’29 alla fine degli anni Trenta.

In un approccio narrativo che preferisce affidarsi a dinamiche molto più che già viste, come il rapporto tra Perkins e Wolfe che assume in fretta le sfumature di una relazione padre-figlio, Genius finisce per vanificare tutto quanto di interessante avrebbe potuto esserci nel racconto di un processo creativo a due, nel lavoro dell’editor che deve restare sconosciuto eppure è così fondamentale per lo scrittore. Neanche il fascino degli anni Trenta serve a qualcosa, neanche le apparizioni fugaci di Scott Fitzgerald e Hemingway. Come Wolfe con Perkins, Grandage avrebbe avuto un grand bisogno di qualcuno che gli dicesse cosa fare della sua opera prima.

(Genius, di Michael Grandage, 2016, biografico/drammatico, 104’)

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LA CRITICA

Genius prova a raccontare la fatica del confronto costante tra scrittore e editor attraverso la storia vera di Max Perkins e Thomas Wolfe ma finisce per cadere in tutte le trappole classiche del biopic d’artista.

VOTO

4/10

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