“Sing Street” di John Carney
Musica e crescita nell’Irlanda anni Ottanta
di Francesco Vannutelli / 8 novembre 2016
Tre film e una sola certezza. Dopo Once dieci anni fa e il troppo sottovalutato passaggio negli Stati Uniti con Tutto può cambiare, John Carney con Sing Street si conferma come il miglior regista musicale al mondo.
Con i suoi film, l’ex bassista dei The Frames ha trovato il modo migliore per parlare di ispirazione, di creatività, di passione e libertà attraverso la musica. Sing Street lega la curiosità musicale al momento fondamentale della crescita, andando a raccontare la realtà irlandese della metà degli anni Ottanta, con una realtà economica difficile e il sogno di Londra e dell’Inghilterra così vicino e allo stesso tempo così distante.
A Dublino, il quindicenne Connor vive in una condizione tutt’altro che semplice. I genitori non si amano più ma non possono divorziare perché la legge irlandese non lo permette. I soldi sono pochi e non bastano per pagare la sua vecchia scuola. Connor viene trasferito in un collegio cattolico a Synge Street, pieno di studenti minacciosi e preti maneschi. È lì che conosce Raphina, ragazza più grande di un anno che sogna una carriera di modella al di là del Mar d’Irlanda. È per conquistare Raphina che Connor mette su una band “futurista” per poter girare un videoclip in cui far recitare la ragazza. Nascono così i Sing Street, pieni di voglia di fare e di idee confuse sulla musica dell’epoca, tra new wave, new romantic e suggestioni di passaggio.
Grande successo al Sundance Film Festival, grande successo nella sezione parallela della Festa del Cinema di Roma Alice nella città, Sing Street ha tutti gli elementi per diventare un classico per gli amanti del cinema e della musica, nello stesso modo in cui aveva fatto School of Rock di Richard Linklater nel 2013. Ogni appassionato troverà di che gioire con una colonna sonora che mette insieme Duran Duran, The Cure, a-ha e molti altri.
La capacità maggiore di Carney, però, è quella di riuscire ad andare oltre la pura e semplice nostalgia per un’epoca musicale, in cui lui per primo si è formato, per realizzare un film (di cui è anche sceneggiatore) che riesce a tratteggiare un racconto di formazione convenzionale nelle sue evoluzioni eppure capace di catturare l’attenzione e la simpatia dello spettatore.
Il pregio di Sing Street è nel riuscire a nascondere la sua natura complessa nella leggerezza dei toni. Mentre Connor combia look a seconda della musica che il fratello maggiore gli fa scoprire, sullo sfondo si intravedono tracce del degrado della società irlandese, della violenza della povertà e dei preti, dello strapotere della chiesa e della paura per un futuro che appare impossibile. A John Carney, però, non interessava raccontare un’epoca con le sue crisi e le sue aspirazioni, ma una storia, tra le tante, di quei tempi. Attraverso la quotidiana e normalissima battaglia di Connor e dei suoi Sing Street per trovare un posto in un mondo migliore, si parla di musica, di crescita, di coraggio e amore, per le donne e i fratelli, di sangue e non, che accompagnano Connor verso il suo destino.
Come già nei suoi due film precedenti, la musica è la coprotagonista del film di Carney. Il regista l’ha composta mettendo insieme vari riferimenti alle band anni Ottanta, lavorando tra gli altri in collaborazione con Glen Hansard – già protagonista di Once e premio Oscar per la canzone “Falling Slowly” del film – e Adam Levine dei Maroon 5, nel cast di Tutto può cambiare.
(Sing Street, di John Carney, 2016, commedia, 106’)
LA CRITICA
Tra nostalgia e romanticismo, Sing Street è un racconto di formazione dall’equilibrio perfetto che conferma John Carney come il miglior regista musicale al mondo.
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