“I fichi rossi di Mazar-e Sharif”
di Mohammad Hossein Mohammadi

Quattordici racconti sull'Afghanistan in guerra

di / 9 novembre 2016

copertina di i fichi rossi su Flanerí

«Non sono riuscito a capire chi di noi fosse, neppure guardando i vestiti. Erano diventati un impasto di sangue e polvere». Sibila. Come il vento ostinato, la guerra si insinua in ogni fessura del tessuto umano fino a (con)fondersi con la quotidianità. I 14 racconti che compongono I fichi rossi di Mazar-e Sharif (Ponte33, 2012) sono un vero e proprio reportage di guerra in cui le parole prendono per intero il posto delle immagini. Tutt’altro che edulcorate, le storie narrate da Mohammad Hossein Mohammadi si caricano di una violenza senza filtri che non risparmia nessuno. Neppure il lettore. Quest’ultimo, infatti, è completamente travolto dalla scrittura evocativa che lo trascina in Afghanistan, a Mazar-e Sharif per la precisione; qui incontra assassini e vittime, genitori che piangono la morte dei loro figli, bambini che mendicano per strada, donne costrette a prostituirsi per mantenere la famiglia.

Nessun giudizio da parte di Mohammad Hossein Mohammadi. Mai. Non è importante; ciò che conta è narrare a 360° un paese in conflitto ormai da decenni e le relative conseguenze che si generano nella società stessa. A riguardo il primo racconto, “I morti”, è senza dubbio emblematico. Dopo una battaglia combattuta vicino l’aeroporto, un uomo si impossessa di un PK e decide di vendicare la morte del nipote e del marito della sorella. Gli sfortunati “prescelti” sono una famiglia proveniente da un villaggio vicino. L’episodio viene raccontato più volte, ogni volta da un punto di vista diverso; nessun ruolo è dato per scontato: i protagonisti sono dapprima coloro che vengono uccisi, poi gli abitanti del villaggio, infine l’uomo accecato dalla rabbia. Nessuno, tuttavia, può dirsi innocente o colpevole in modo assoluto. La netta demarcazione tra Bene e Male viene meno, per Mohammad Hossein Mohammadi, infatti, non può esistere laddove la morte violenta si confonde con la vita in modo così naturale.

La morte, dunque, è senza dubbio il filo conduttore che tiene uniti tutti e 14 i racconti – capitoli di un più ampio romanzo piuttosto che narrazioni separate – eppure il degrado che emerge talvolta è stemperato da attimi di felicità innocente che vengono dal passato. “Allah, Allah!”, per esempio, è un racconto straziante in cui il dramma di un bambino rimasto mutilato e per questo costretto a mendicare, scivola lungo la duplice dimensione temporale del passato e del presente. Questa si sovrappone costantemente e quando la realtà diviene troppo gravosa ecco subentrare il ricordo, l’unico vero rifugio ancora possibile.

Un buio denso ricopre la storia recente dell’Afghanistan; la lettura di I fichi rossi di Mazar-e Sharif di certo non conforta ma rende il lettore più lucido e consapevole.

 

(Mohammad Hossein Mohammadi, I fichi rossi di Mazar-e Sharif, trad. di Narges Samadi, Ponte33, 2012, pp. 137, euro 16)
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LA CRITICA

Un flusso di coscienza sotto forma di narrazione breve che scuote il lettore. Per la brutalità delle vicende si è tentati di distogliere lo sguardo, ma il cuore terrà aperto il libro pagina dopo pagina.

VOTO

8/10

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