“L’uomo dal fiore in bocca… e non solo”, regia di Gabriele Lavia
In scena al Teatro Quirino l’atto unico di Luigi Pirandello
di Giorgia Basili / 9 dicembre 2016
In L’uomo dal fiore in bocca… e non solo, Gabriele Lavia ipnotizza con la sua capacità attoriale e la sua forza registica. Dilata il testo pirandelliano, l’atto unico più breve scritto dal drammaturgo, convoglia nel dialogo tra l’uomo dal fiore in bocca (Gabriele Lavia) e il Pacifico Avventore (Michele Demaria) qualcosa che attiene fermamente alla vita: il banale (inezie, pacchetti e pacchettini), la ripetitiva insistenza di azioni e luoghi comuni, anche la bellezza inafferrabile dell’infinitamente grande partorito dal pensiero di una piccolezza infinita. Una riflessione che può scaturire da uno sguardo al cielo e agli astri, comodamente seduti nella «loggetta» domestica.
In L’uomo dal fiore in bocca… e non solo, Lavia porta la voce di Schopenhauer, la sua filosofia sosteneva l’essere come volontà di annullamento. L’uomo si distingue così in quanto animale metafisico, consapevole dell’avvento della morte. «Perché devo vivere se poi devo morire?» ripete l’uomo dal fiore in bocca in uno spasmo pulsionale quanto mai lontano dalla retorica. Destinato a morire entro pochi mesi a causa di un epitelioma tumorale sotto il baffo, quasi un neo o un fiore, passa il suo tempo nella stazione dei treni immaginando la bellezza delle destinazioni e cercando di rubare con l’intuito la vita degli altri. Questo non gli arreca piacere né sollievo ma gli dà la possibilità di calarsi in altre esistenze per congelare momentaneamente la propria.
Quando il sipario del Teatro Quirino si apre, lo spettatore è subito catapultato nel cuore di una piccola stazione di paese, un tuono seguito da un lampo e dallo scroscio forte della pioggia. La scenografia magistrale è stata curata dal Teatro della Pergola di Firenze.
Il Pacifico Avventore entra in scena carico «come un mulo» di pacchi regalo coloratissimi, dalle carte sgargianti e ben infiocchettati, due per dita. Ha appena perso il treno e si imbatte in un ‘uomo un po` strano’ con cui arriva a confidarsi e condividere l’attesa. L’attesa del prossimo treno o di un senso da dare a ciò che sfugge alla comprensione? La quotidianità, il proprio essere uomo, il gioco di ruoli, il rapporto complicato con l’altro genere, la donna: l’uomo dal fiore in bocca ha la risposta a ogni interrogativo, anche non esplicitato, quasi il tutto si esaurisse in un raffronto personale con la realtà.
La donna, che vediamo come una sagoma dietro al vetro che separa gli uomini dai binari, è la vera ossessione che incombe dietro agli affanni dell’uomo buono e dell’uomo saggio. La moglie, o «Il Moglie» che regola gli spostamenti, dà commissioni, detta l’umore del Pacifico Avventore. La malattia mortale che l’uomo desidera per sé. La dolcezza a cui non si può rinunciare fa sì che il simbolo del sesso femminile sia incarnato da un frutto: l’albicocca delicata, spaccata a metà e spremuta, una battuta velata e irriverentemente maliziosa.
Ricorrente il battito mortifero, la presenza soffocante della morte che «si attacca addosso» e che sarebbe bello potersi togliere, vicendevolmente tra sconosciuti, come un innocuo insetto, una mosca posatasi sugli abiti. Si crea quindi un’assonanza ambigua tra figura femminile, desiderata come la cosa più bella eppure vista come una voluttà nociva, sempre con il coltello dalla parte della manica, e la morte, temuta e più volte invocata, mostro da esorcizzare: un’ombra misteriosa che cala repentinamente e non lascia scampo alle prede.
L’uomo dal fiore in bocca… e non solo
di Luigi Pirandello
regia: Gabriele Lavia
con: Gabriele Lavia, Michele Demaria, Barbara Alesse
scene: Alessandro Camera
costumi: Elena Bianchini
musiche: Giordano Corapi
luci: Michelangelo Vitullo
regista assistente: Simone Faloppa
Roma – Teatro Quirino, dal 6 Dicembre al 17 Dicembre 2016
LA CRITICA
Gabriele Lavia ci fa visualizzare tramite le parole e la gestualità scenica ciò che non abbiamo davanti agli occhi, persino la preparazione paziente e meticolosa di un pacchetto regalo si trasforma in una danza con l’aria.
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