“Il GGG – Il Grande Gigante Gentile” di Steven Spielberg
Il gigante di Roald Dahl si anima in motion capture
di Francesco Vannutelli / 20 dicembre 2016
Uno dei registi della fantasia per eccellenza incontra uno dei più importanti scrittori per bambini di tutti i tempi. Steven Spielberg porta al cinema Il GGG – Il Grande Gigante Gentile, il romanzo di Roald Dahl che già nel 1989 era stato trasformato in un film di animazione
C’è una specie di legame profondo che unisce Spielberg al romanzo. Quando nel 1982 usciva nelle sale la sua prima favola cinematografica, E.T., Il GGG arrivava nelle librerie. Sembra normale, quindi, che quasi trentacinque anni i due si siano incontrati sul grande schermo.
Sophie è un’orfana che vive a Londra in un istituto. Una notte viene rapita da un gigante che la porta nel suo mondo, la terra dei giganti è pieno di cannibali spietati e giganteschi. La creatura che ha rapito Sophie, però, è diversa. È vegetariano, e gentile. Il suo lavoro è quello di catturare i sogni per portarli nelle notti delle persone. Sophie e il GGG, il grande gigante gentile, come vuole essere chiamato, diventano presto amici. Quando gli altri giganti si accorgono della presenza della bambina iniziano a preparare un piano per arrivare a Londra e portare via altri ragazzini. Sophie e il GGG decidono allora di chiedere aiuto alla regina di Inghilterra.
Lo scorso anno, Il ponte delle spie aveva confermato ancora una volta la doppia natura del cinema di Spielberg. Da una parte c’è il cinema della Storia, delle storie vere che hanno attraversato – soprattutto – il XX secolo e dei loro protagonisti. Basta pensare a Schindler’s List, a Munich, o a Salvate il soldato Ryan, solo per dirne alcuni. Dall’altra c’è il cinema delle storie, quello del grande intrattenimento in cui la fantascienza fornisce spesso lo spunto di partenza così come, più in generale, tutto ciò che può essere definito fantastico. Se c’è bisogno di fare dei titoli diremo Incontri ravvicinati del terzo tipo e la saga di Indiana Jones.
Nel cinema delle storie, Spielberg ha guardato spesso ai bambini come interlocutori principali dei suoi film, ma mai come con Il GGG aveva fatto un film che avesse tutte le caratteristiche del titolo per l’infanzia. Ha un valore simbolico che E.T. e il romanzo di Dahl condividano l’anno di uscita. Nella sua prima favola cinematografica, Spielberg aveva iniziato ad affrontare alcune tematiche che poi avrebbe ripreso – anche con toni molto diversi – nei film successivi. La diversità come risorsa, il coraggio dei più piccoli e dei più deboli, sono due tra le colonne portanti di tutto il cinema spielberghiano. Roald Dahl, di suo, ha fatto del tema della diversità un autentico manifesto in tutti i suoi romanzi. Il messaggio principale dell’opera di Dahl, che filtra anche da Il GGG, è che bisogna trovare la forza di resistere anche nei momenti peggiori, perché la felicità può arrivare in ogni momento.
Sophie e il “suo” gigante sono due emarginati. Lei orfana, lui preso di mira dagli altri giganti perché vegetariano e più piccolo della media. Proprio lì, nel loro essere diversi dagli altri, si incontrano e si riconoscono, e trovano insieme la forza per alzare la testa.
Dopo la presentazione fuori concorso all’ultimo Festival di Cannes, Il GGG è stato un sostanziale fallimento al botteghino statunitense, con incassi che si sono fermati a 55 milioni di dollari a fronte di un budget di produzione stimato intorno ai 140. Si può pensare che la distribuzione a luglio – il mese più forte per il mercato cinematografico nordamericano – non abbia aiutato. La natura fiabesca del film di Spielberg sembra chiamare una distribuzione in periodo natalizio come quella scelta per il mercato italiano.
Nel bilancio complessivo del cinema di Spielberg c’è da evidenziare come l’impianto favolistica non sia mai stato sinonimo di grandi successi, con la notevole eccezione di E.T.. Se si pensa a Hook del 1991, che rifondava la storia di Peter Pan, o a Le avventure di Tintin – Il segreto dell’unicorno del 2011, vengono in mente incassi modesti e recensioni contrastanti.
Il GGG unisce la favola a un impianto tecnico di eccellenza in cui spicca il lavoro in motion capture di Mark Rylance, già premio Oscar lo scorso anno come non protagonista per Il ponte delle spie. Quindici anni dopo la prima apparizione del Gollum di Andy Serkis nella saga di Il signore degli anelli, l’interpretazione di Rylance riapre il dibattito sulle nuove frontiere della recitazione. Spielberg ha imparato molto dalla lunga ricerca sulla computer grafica fatta dal suo amico Robert Zemeckis negli ultimi vent’anni ed è riuscito a sposare la tecnologia con la purezza del racconto. A mancare è un livello ulteriore, quello in grado di far essere Il GGG non solo un film per l’infanzia. Qualcosa che lo avvicini a E.T., o a un qualsiasi film Pixar, per intenderci. Invece bisogna accontentarsi di una favola di grande potenza visiva, in cui si ride anche per peti e botte ai testicoli, e forse può bastare così.
(Il GGG – Il Grande Gigante Gentile, di Steven Spielberg, 2016, fantastico, 118’)
LA CRITICA
Steven Spielberg adatta per la prima volta Roald Dahl unendo la favola a uno strepitoso lavoro di motion capture che ridefinisce le frontiere della recitazione in digitale grazie a Mark Rylance.
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