“Passion, Pain & Damon Slayin'” di Kid Cudi
Nuovo lavoro per il pupillo di Kanye West
di Luigi Ippoliti / 22 dicembre 2016
L’8 aprile del 2009 esce la quinta puntata della tredicesima stagione di South Park, Fishstick. Jimmy, anche se Cartman poi se ne approprierà con il suo classico modo odioso di relazionarsi al mondo, inventa questa battuta («Ti piacciono i bastoncini di pesce? Sì. Ti piace metterli in bocca? Sì. E cosa sei allora, un pesce gay?») che, un po’ alla volta, diventa un tormentone di cui si parla ovunque, per strada come in televisione. C’è solo una persona in tutto il mondo che non riesce a capirla: Kanye West. Disperato, cerca in tutti i modi di far capire che non fa ridere perché a lui non fa ridere, giustificandosi ripetendo in continuazione di essere un genio. Oggi, sette anni dopo, un suo pupillo, Kid Cudi, scrive il suo terzo album, Passion, Pain & Damon Slayin’.
Nel 2008 Kanye West usciva con l’album 808s & Heartbreak , che fece parlare molto di sé soprattutto per l’utilizzo massiccio dell’auto tune – mezzo che veniva precedentemente associato a Cher, ma che da lui in poi è stato sdoganato –, e molto del personaggio sopra le righe Kanye West. Nella puntata di South Park, forse, si voleva rimarcare una certa distanza, l’incomprensibilità di come quello che produceva musicalmente Kanye West dava vita a quello che era Kanye West, su come il mondo lo percepiva e come lui si auto percepiva, con un ego da Re Mida, che andava a creare attorno a lui un’aura di infallibilità da semidio che gli dava effettivamente un’aura di infallibilità da semi dio – poi la relazione con Kim Kardashian ha enfatizzato ancora di più tutto, rendendolo ancora di più, se possibile, un iper fenomeno mediatico. Ma è indubbio che comunque Kanye West (Jay-Z e Beyoncé in maniera diversa) abbia dato al mondo generico del rap e dell’hip hop (facendosi pop) la possibilità in qualche modo di innalzarsi, sradicandosi dai ghetti incorruttibili di Tu Pac, permettendo di essere capito e apprezzato da critica (Pitchfork su tutti) e musicisti con origini musicali diverse (in primis Thom Yorke), andando a sviluppare una contaminazione tra hip hop, pop e musica elettronica che sta influenzando la produzione musicale di oggi.
Parallelamente, un paio di anni prima, Thom Yorke produceva il suo primo album solista, mischiando pop ed elettronica – in maniera completamente diversa rispetto a quelli che superficialmente vengono ritenuti gli album elettronici dei Radiohead, Kid A e Amnesiac – con The Eraser. Ecco, The Eraser può essere il momento in cui un personaggio musicale influente abbia iniziato ad avvicinare a livello globale questi due generi. E il suo atteggiamento si faceva, negli anni, sempre più interessato e vicino al mondo ibrido dell’hip hop-elettronico (ricordiamo le collaborazioni con Flying Lotus, artista che tra elettronica e hip hop fa convivere una pulsione jazz dominante, e le loro storiche serate Dj set a Los Angeles; con i Modeselektor nel brano “White Flash”, dall’album Happy Birthday!, e successivamente nei brani “Shiprweck”, “This” e “All Buttons in”; con Burial e Four Tet, entrambi fondamentali in questo discorso, soprattutto il primo con quello che può essere il totem dell’elettronica suburbana, Untrue). Questo ha fatto sì che proprio una certa inclinazione verso quel mondo fosse visto dall’altra parte del mondo come qualcosa che si-poteva-fare, che si-doveva-fare.
Il mondo dell’hip hop, dell’elettronica e del pop/rock trovavano un ulteriore punto di svolta nella collaborazione tra i Modeselektor e Apparat nel 2009, con il progetto Moderat e il primo album Moderat. Con loro l’elettonica e l’hip hop duri dei Modeselektor si mischiavano all’attitudine pop di Apparat. Qui, passando per James Blake e la sua diramazione soul – necessario questo passaggio –, (ma anche per situazioni meno felici come The Boxer di Kere Okereke, leader dei Bloc Party che nel 2010 ha dato vita a un album che avrebbe voluto essere un intreccio tra indie pop e hip hop, ma con risultati più che scadenti), e per l’ultimo di Bon Iver, 22, a Million, che sancisce in modo definitivo la contaminazione di questi generi (e anche solo il cambio di abbigliamento di Justin Vernon non fa che testimoniarlo, passando dai camicioni a quadri ai cappellini e le giacche hip hop), si è arrivati al fatto che oggi, l’ultimo lavoro di Kenye West, The Life of Pablo, o di Beyoncé, Lemonade, o di sua sorella Solange, A Seat at the Table, siano per la maggior parte della critica tra i migliori dischi dell’anno in assoluto.
Ed è in questo contesto che si sviluppa Passion, Pain & Damon Slayin’ di Kid Cudi. Staccandosi in maniera nella dal precedente, Speedin’ Bullet 2 Heaven, dai toni cantautorati, quest’ultimo lavoro è un disco enciclopedico di diciannove brani, pieno di collaborazioni (Andre Benjamin in “By Design” e “The Guide”; Willow in “Rose Garden”; Travis Scott in “Baptized in Fire”; Pharell Williams in “Flight at First Sight/Advanced” e “Surfin’”) e di riferimenti ai mondi di cui è stato detto prima, con picchi altissimi, brani di enorme classe dove emerge un talento purissimo (“Rose Garden” su tutti) e cadute vertiginose, e brani che potrebbero trovare una propria dimensione esclusivamente come colonna sonora dei riscaldamenti delle partite di basket (“Flight at the First Sight/Advanced”).
In Passion, Pain & Damon Slayin’ sono appunto molti i riferimenti a Moderat (“Swim in the Light” non sembra la riproposizione di “A New Error”?), ma anche a Caribou (“By Design”, nel suo incedere, sembra essere preso direttamente da Swim), a Thom Yorke (“Dance 4 Eternity” ha quell’aria di disperazione urbana di Tomorow’s Modern Boxes), Flying Lotus (“Does It” è parente stretta di Cosmogramma), sviluppati in un universo che è quello tirato su negli anni da Kanye West.
Pare dunque che un certo mondo musicale stia prendendo questa direzione, trasformandosi e trovandosi in questo essere ancora poco definito e definibile. Ci vorrà, infatti, un ulteriore salto in avanti rispetto all’ultimo lavoro di Bon Iver. Siamo di fronte a un momento fondamentale della musica pop e della musica hip hop, delle possibili declinazioni, del cambiamento della loro grammatica. Un crocevia che darà vita a un prima e a un dopo: il tutto suggellato dal bene placido della critica.
Ed è vero, allora, come ha detto quest’anno Roger Daltrey, che il rock è morto e che esiste solo l’hip hop?
(Passion, Pain & Damon Slayin’, Kid Cudi, alternative hip hop)
LA CRITICA
Con Passion, Pain & Demon Slayin’ Kid Cudi si inserisce nel discorso della contaminazione hip hop, elettronica e pop in un disco enciclopedico di diciannove brani pieno di alti e bassi.
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