“Personal Shopper”
di Oliver Assayas

La rappresentazione dell’assenza

di / 25 aprile 2017

Poster italiano di Personal Shopper su Flanerí

È un film immateriale, Personal Shopper di Olivier Assayas, un film di assenze e di ricerca, di solitudine e di conversazione con l’inesistente. Presentato a Cannes lo scorso anno, dove è stato accolto dai fischi della stampa e dal premio per la miglior regia, il film di Assayas unisce tutte le anime possibili del cinema: l’autorialità, lo sfruttamento dei generi, la tensione, l’horror, le grandi star e le derive art-house.

Per riuscirci, il regista francese ha deciso di affidarsi completamente a Kristen Stewart, l’ex Bella della saga di Twilight, da qualche anno diventata una delle attrici più richieste del cinema d’autore e indipendente. Era stato proprio Assayas a darle una nuova vita cinematografica nel 2014 con Sils Maria, insieme a Juliette Binoche. In Personal Shopper Stewart è sola sullo schermo in quella che è senza dubbio la sua migliore interpretazione fino a questo momento.

Maureen è una ragazza statunitense che lavora come personal shopper per una modella a Parigi. È in Francia per cercare una traccia di Lewis, il fratello gemello morto pochi mesi prima. Entrambi in possesso di poteri medianici, i due fratelli si sono promessi di mandarsi un segnale dall’aldilà nel momento in cui uno dei due fosse venuto a mancare. Non sono solo le capacità paranormali a unirli. Una malattia congenita al cuore ha portato via Lewis e minaccia Maureen ogni giorno. Le ricerche vanno avanti di notte, in una grande villa disabitata e un giorno sembra arrivare un segnale.

Inizia nel perfetto rispetto del genere horror, Personal Shopper. Maureen viene lasciata all’ingresso di una grande villa isolata con la promessa che torneranno a prenderla la mattina seguente. La notte la passa vagando per le stanze aspettando un segno. È qui, all’interno di una situazione classica del cinema di genere, che Assayas sottolinea subito lo scarto con la cinematografia di riferimento. La telecamera segue Kristen Stewart attraverso i corridoi, la tensione scaturisce dal buio, dal silenzio, senza costruzioni artificiali. Il tocco dell’autore si riconosce e Personal Shopper inizia a definirsi per quello che è realmente: un film sull’assenza.

Tutta la vita di Maureen è fatta di rapporti sbilanciati. Cerca il fratello oltre la morte. Lavora per una modella che non vede mai e con cui comunica tramite note scritte su pezzi di carta. Ha un fidanzato in Oman con cui parla solo su Skype. A un certo punto qualcuno inizia a perseguitarla, ma solo per messaggio sul cellulare. Non c’è mai una relazione diretta, non c’è mai contatto, fisicità. Gli unici oggetti materiali nel mondo di Maureen sono i vestiti che ritira per conto della modella nelle boutique più prestigiose di Parigi e Londra. Oggetti che non le appartengono, che non appartengono a nessuno e che Maureen sente di desiderare proprio perché lontani da lei, perché proibiti.

La dialettica del desiderio irrealizzato tra Maureen e il resto del mondo è il grande tema su cui si interroga Assayas. Sono desideri impossibili, quelli che la legano al fratello, al lavoro, allo sconosciuto che la perseguita. Desideri di paura, che vanno oltre la dimensione fisica e razionale per accogliere l’ignoto e il proibito.

Kristen Stewart, lasciata da sola sullo schermo praticamente per tutto il film, diventa il mezzo attraverso cui si definisce una storia tutta interiore piena di collegamenti con il mondo esterno. Assayas la spinge in giro per Parigi, la nasconde nel buio e in vestiti fuori misura, la spoglia rendendola fragile e seducente. Costruisce una mitologia del corpo come tramite delle sensazioni. E nella rappresentazione dell’immateriale, il regista e critico francese trova un linguaggio che si riempie di riferimenti alla storia del cinema, da Hitchcock a Roman Polanski (L’inquilino del terzo piano, ma anche la ricerca impossibile di Frantic) e si definisce in un’ultra-genere che riunisce l’horror, il thriller, la psicologia, lo stile europeo e quello statunitense. Tutto sintetizzato in Kristen Stewart.

 

(Personal Shopper, di Olivier Assayas, 2016, drammatico, 105’)

 

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LA CRITICA

Affidandosi a Kristen Stewart, sempre più distante dai ruoli pop della giovinezza, Olivier Assayas confeziona un saggio di cinema che unisce generi senza mai definirsi e che tenta l’impresa di rappresentare l’immateriale, che siano i fantasmi o le sensazioni.

VOTO

8/10

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