La mia idea di grafica
Una chiacchierata con Riccardo Falcinelli
di Ulderico Iorillo / 4 settembre 2017
È piuttosto difficile lavorare nel mondo dell’editoria e non avere a che fare con Riccardo Falcinelli, quasi impossibile, poi, è entrare in una libreria e non trovarsi tra le mani un libro con una copertina realizzata da lui. Grafico, art director e teorico del design, ha progettato libri e collane per i maggiori editori italiani.
È autore di diversi saggi sulla comunicazione e sul design (Guardare, pensare, progettare per Stampa Alternativa; Fare libri per minimum fax; Critica portatile al visual design per Einaudi Stile libero) e di graphic novel (Cardiaferrania e l’allegra fattoria per minimum fax, Grafogrifo per Einaudi Stile libero). Dal 2012 insegna Psicologia della percezione all’ISIA di Roma. È stato condirettore della rivista internazionale di grafica “Progetto grafico”.
Per quanto mi riguarda, ho conosciuto Riccardo qualche anno fa a una delle sue lezioni, col tempo ho avuto modo di apprezzare la sua professionalità e ho approfondito alcune teorie sul design leggendo i suoi libri. Parte dell’editoria contemporanea si anima di strani mostri che si nutrono di passioni momentanee, di improvvisazione o peggio, di impreparazione, ma di sicuro Falcinelli non fa parte di questo bestiario. Avendo a che fare con lui e con il suo studio per motivi di lavoro ho avuto l’impressione di confrontarmi con un magister di una bottega artigianale che si serve di complicate macchine di precisione.
Hai sempre un sacco di progetti in ballo e sei spesso occupato in presentazioni, insegnamento, scrittura, workshop. La tua è un’attività volta per sua stessa natura alla comunicazione e parli di comunicazione del design. Quanto riesci a comunicare di quello che pensi attraverso i tuoi progetti editoriali? Cioè quanto riesci a fare del medium, il messaggio?
In realtà solo in parte. Il punto è che mi occupo di aspetti diversi perché ciascuno permette di comunicare idee diverse. E del resto è giusto che sia così: le mie teorie sul design non necessariamente riguardano i lettori di romanzi per cui faccio le copertine. Mi spiego con un esempio. Credo che per comprendere davvero la società di massa bisogna starci dentro, per questo mi affascina e diverte occuparmi di blockbuster editoriali, per esempio i thriller dove devi far riferimento a iconografie consolidate (controluce, sangue, figure che scappano di spalle). Questo lavoro deve essere fatto bene ma siccome è dentro il mainstream molti colleghi lo snobbano perché lo reputano inutile e commerciale. Al contrario quando faccio le copertine per i libri di Munari ricevo apprezzamenti e consensi. È ovvio che culturalmente preferisco fare i titoli di Munari che mi sono più affini ma stare in entrambi i mondi mi dà la temperatura del momento e per me è fondamentale per parlare con lucidità di design. Tutto questo però non riguarda né il lettore di thriller né forse quello di Munari. Riguarda la mia idea di grafica che è di tipo storico sociale. Cioè per me è un’attività progettuale (e spesso anche artistica) che accade in un momento storico e in una società precise.
Ora stai scrivendo un libro sul colore, Cromorama. Quando uscirà? Critica portatile al visual design è stato un grande successo. La tua guida sul colore è diretta allo stesso pubblico?
Il libro uscirà in autunno, ma stavolta non è un manuale. È un saggio narrato, o un lungo racconto, su che cos’è il colore oggi. Non è rivolto agli addetti ai lavori o ai designer. L’ho scritto pensando a persone colte ma che si occupano d’altro. Tutti i libri in commercio sul colore sono artistici o storici, questo è il primo libro che usa l’arte e la storia per parlare del presente. (Lo posso dire senza modestia perché un libro così l’ho cercato per anni e non l’ho trovato). È un libro su come guardiamo il mondo contemporaneo e quali idee ci facciamo sulle cose. Quindi il pubblico è più vasto, spero piaccia a chiunque abbia interessi per la cultura visuale e spero anche negli insegnanti delle scuole primarie. Uno dei temi forti è infatti come impariamo a capire il colore da piccoli.
Si è da poco concluso il tuo rapporto con minimum fax che durava da 17 anni e si può dire che tu hai contribuito in maniera evidente alla formazione dell’immagine di una delle case editrici indipendenti più attive e interessanti del panorama editoriale italiano. Qual è il tuo bilancio di questa esperienza e ti dispiace ora vedere una tua creatura diventare un’altra cosa, prendere un’altra strada?
Sì, mi dispiace, ma era inevitabile. Dopo 17 anni cambiano troppe cose e in mimimum fax non c’erano più le persone con cui avevo lavorato per tanti anni. A fronte del lutto è stato però giusto cambiare, per me e per loro. In fondo ora mi interessano cose diverse rispetto a dieci anni fa. Non mi interessa più fare i progetti giovani di una casa editrice giovane. Ho 44 anni. Non posso neppure più permettermelo. In più mi dispiace sfatare un mito ma nella mia ventennale esperienza ho scoperto che nelle grandi case editrici c’è spesso la stessa libertà che in quelle indipendenti, solo che viene usata in modo diverso.
Hai recentemente ridisegnato la grafica di SUR e di elèuthera. Sono due progetti rivolti a due case editrici molto diverse, che hanno anche una genesi che muove da presupposti differenti. Trovi che i precedenti progetti avessero concluso il loro corso, esaurito la loro funzione? Quando si può dire che un progetto grafico non risponde più alle esigenze per cui è nato?
Non ho una risposta. Francamente non lo so. I progetti avevano di certo finito il loro corso. Le mode cambiano, e negli ultimi anni sono cambiati velocemente i lettori. Gli unici progetti che hanno vita lunga sono quelli che si impongono come classici, ma questo non mi sembra il momento storico giusto. Cioè non credo che oggi si possano disegnare collane come la Biblioteca Adelphi o i Supercoralli, i lettori attuali (parlo di lettori di massa) le rifiuterebbero. Viviamo tempi culturalmente precari, si preferiscono le novità alla tradizione. Nel caso di Sur però la casa editrice è cresciuta, sta facendo un salto, doveva cambiare. Nel caso di elèuthera bisognava risolvere anche un problema pratico e concettuale: fare copertine seriali ma aniconiche (per i titoli filosofici) senza fare copertine di puro lettering che in questo caso sarebbero risultate troppo fredde.
Una volta hai preso spunto dal cartone animato di Alice nel paese delle meraviglie citando la frase «se fossi un coniglio, dove terrei i guanti?». Ti riferivi al fatto che bisogna cercare di entrare nella testa del pubblico, di immaginare, cioè, dove il pubblico ha messo i guanti. Ti viene in mente un progetto editoriale, tuo o di altri che, negli ultimi tempi, abbia perfettamente inquadrato il suo pubblico?
Riguardo ai miei progetti, di certo Einaudi Stile libero. Bisognava inventare una collana che fosse autorevole ma si percepisse come “entertainment” e ha incontrato un successo enorme. In Einaudi (e in libreria) mancava questo aspetto di pura narrazione, di intrattenimento alto, che prima coincideva solo con libri commerciali. Stile libero è un format non necessariamente commerciale e in cui i lettori sentono anche l’aspetto culturale ma senza paludamenti. È una cosa che in Italia, rispetto al mondo anglosassone, manca ancora troppo: o si fa cultura alta o si fa roba dozzinale. Ecco molti lettori italiani cercavano libri che non mettessero soggezione senza essere però libracci. Molti intellettuali hanno storto la bocca, ma non si fanno libri solo per gli intellettuali, sarebbe la morte della cultura. Sui progetti altrui ho sempre grandi difficoltà a pronunciarmi, dico perciò “Quodlibet” perché piacciono a me. Hanno trovato i miei guanti.
Da pochi giorni sono usciti con una nuova veste grafica da te realizzata i dieci polizieschi dell’87° distretto di Ed McBain sempre per Einaudi Stile libero. Naturalmente, il rilancio di questi libri è legato al periodo dell’anno. Com’è noto infatti, i noir e i gialli sono le letture da ombrellone per eccellenza. Che importanza dai al ruolo del graphic designer nella riuscita di un progetto il cui tempismo commerciale è essenziale?
Il progetto McBain era in cantiere da quasi due anni, poi certo si sceglie il momento migliore per lanciarlo. Non credo che ci sia un ruolo preciso del design, però sempre più spesso ci chiedono di lavorare con tempi stretti. In fondo il fascino di occuparsi di libri è anche in questo: i libri sono oggetti concreti (quando li tocchiamo) e astratti (quando abitano i nostri pensieri), sono cultura e sono merce, sono design e sono marketing. La difficoltà è stare in equilibrio senza cadere.
Nel salutare Riccardo e ringraziarlo per la sua disponibilità mi cade l’occhio sulla copia staffetta del suo nuovo libro e gli chiedo se posso guardarlo. Mi dice di no, sorridendo. So che se insistessi potrei sfogliarlo, dargli uno sguardo veloce, almeno un’occhiata. Poi penso che in fondo abbia ragione lui, aspetterò che il libro diventi concreto, arrivi in libreria, illuminato nel modo giusto, collocato nello scaffale pensato per lui.
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