Quando la distanza tra persone e personaggi si annulla

“La cosa giusta”, romanzo di Michele Cocchi

di / 26 ottobre 2017

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La cosa giusta di Michele Cocchi (Edizioni Effigi, 2016) è un romanzo atipico. Non tanto per la tematica espressa – che a voler semplificare potremmo circoscrivere alla vicenda di allontanamento/avvicinamento di un padre e di un figlio (una tematica che un gran numero di differenti voci di autori sta declinando, nell’ultimo torno di tempo) – quanto più per le scelte stilistico-espressive: l’alternanza come un taglio netto di capitoli dedicati ora all’uno ora all’altro personaggio, semplicemente denominati “l’uomo”, “il ragazzo”; l’estrema economia dei dialoghi, ellittici come talvolta possono essere le conversazioni tra persone che vivono appartate, o tra persone abituate all’azione più che al linguaggio; l’ingresso nel filato della sintassi, a tratti sincopata a tratti di respiro più ampio, di termini, locuzioni, espressioni proprie della lingua toscana, non mutuate, tutte afferenti alle diverse sfere pragmatiche dei lavori, delle “cose” di uso comune, dell’ambiente naturale.

Michele Cocchi, difatti è toscano. E questa appartenenza geografica risuona in maniera polifonica nel suo romanzo di esordio, al quale lo scrittore, che lavora come psicoterapeuta dell’infanzia e dell’adolescenza, giunge, dopo l’apparizione di suoi racconti su riviste tra cui Nazione Indiana e la raccolta Tutto sarebbe tornato a posto (Elliot Edizioni, 2010).

Il romanzo si apre con una scena traumatica, il risveglio dell’uomo in un capannone, ferito al ginocchio. Nel capitolo immediatamente successivo il ragazzo si inoltra nel bosco, a passo spedito, e disperde le sue tracce seppellendo nella terra umida i propri effetti personali.

Niente viene detto in maniera esplicita, la storia si compone per giustapposizioni, senza evidenti punti di contatto tra i flash dedicati all’uomo e quelli dedicati al ragazzo, tranne che per l’evento che ha messo in moto l’azione.

Il ragazzo, Gabriele, ha sedici anni, e sta scappando. Il padre, un uomo selvatico e brusco, lo sta cercando. La domanda cruciale su cui gira tutto il romanzo è chi sia il colpevole, chi sia “il cattivo”, e diventa la questione morale urgentissima alla quale il lettore vorrebbe dare risposta, accatastando dettagli e informazioni che continuamente lo avvicinano e anche lo fuorviano (padre alcolista; ragazzo abbandonato dalla madre; padre violento; ragazzo instabile, pericoloso?).

Quando Gabriele raggiunge un casolare isolato, abitato da una comunità che ha scelto di lasciare la città per vivere in montagna a contatto con la natura, entrano in scena nuovi personaggi: Cristiano, leader della comune, Elena, sua compagna, Giuseppe e Irene, genitori di un bambino afflitto da una malatia congenita, Carla, una donna che ha perso il marito in un incidente stradale, e sua figlia Lucia, quattordicenne problematica al limite dell’anoressia.

Cristiano è affabile, offre a Gabriele di fermarsi a vivere con loro, si sovrappone alla figura paterna. Gabriele è intelligente, diffidente, ma accetta. Gli animali, il lavoro nei campi, le cene rustiche e genuine, il rifiuto delle energie inquinanti, il rapporto di aiuto reciproco e di rispetto tra i componenti della comunità: Cristiano presenta a Gabriele tutte queste cose con naturalezza, mentre in parallelo l’uomo, padre del ragazzo, si muove in un girone dantesco di vita paesana fatta di preti eloquenti, osti scommettitori, commessi chiacchieroni e ragazze ruffiane, condito dallo squallore del vino rosso bevuto a litri dal cartone.

In realtà anche la comune di Cristiano nasconde insidie senza nome, che una dopo l’altra fanno cadere tutte le apparenze, da quella del “luogo idilliaco”, che più che una scelta è una fuga, a quella della presunta affidabilità degli adulti, deboli, come l’inconsistente Cristiano, o peggio ancora adescatori, come la spregiudicata Elena. La comune di Cristiano addensa un nodo di mancanze, inadempienze, fallimenti, tensioni, che scorrono sotterranee fino al punto di rottura, in un continuo gioco di specchi in cui ogni personaggio involontariamente scopre gli altarini degli altri.

L’espressività cruda, scabra di Cocchi mette in luce i traumi, la psicologia e i legami che compongono ogni individuo.

A chi potrà votarsi Gabriele, che è con tutta probabilità l’embrione di un uomo che saprà mantenere la bussola nella vita? Ci sarebbe molto altro da dire. Forse la cosa giusta è leggere il libro.

 

(Michele Cocchi, La cosa giusta, Edizioni Effigi, 2016, pp. 240, euro 14)
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LA CRITICA

Una essenziale e inquietante interrogazione sui rapporti interpersonali e familiari che mette a confronto un adulto e un adolescente.

VOTO

7,5/10

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