Il romanzo come rielaborazione del dramma

Alcuni osservazioni su “La fine della storia” di Luis Sepúlveda

di / 9 novembre 2017

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Il ritorno al romanzo nella sua forma più pura è per Luis Sepúlveda una prova narrativa che mette in campo alcune delle tematiche maggiormente care all’autore, una nuova modalità di costruzione dell’intreccio e una decisa presa di posizione nei confronti di alcuni dei fatti più neri della nostra storia recente. La fine della storia (Guanda, 2016) rappresenta il capitolo conclusivo della parabola personale del personaggio di Juan Belmonte, particolare figura di antieroe attraverso cui non è difficile scorgere in controluce la passione politica, l’etica e il vissuto dell’autore, che qui consegna alla pagina, dopo anni di rielaborazione, ricordi ed esperienze dolorose non annebiate, ma anzi fatte risaltare dalla sovrastruttura romanzesca, quasi che la complessità della trama e l’elevato numero di personaggi siano più che altro una maniera per esorcizzare, per diluire, la nuda e opprimente portata del dramma.

Il filo conduttore di questa vicenda, che si snoda tra il Cile del generale Pinochet, la Russia di Stalin e la Patagonia di oggi assumendo i contorni di un vero e proprio intrigo internazionale, è il personaggio di Verónica, la compagna di vita dell’ex guerrigliero Juan Belmonte, una donna silenziosa e tenace che porta sulla pelle la traccia irreparabile dei soprusi patiti durante la dittatura: a lei Sepúlveda ritorna, con intervalli regolari, servendosene per aprire nel romanzo una finestra sugli orrori perpetrati dai militari nel centro di detenzione illegale di Villa Grimaldi, luogo che solo scorrendo le pagine ha la capacità di addensare le inquietudini del lettore, e che viene evocato sin dalla dedica a «Carmen Yáñez “Sonia”, la prigioniera 824», la poetessa moglie dell’autore.

Juan Belmonte, esperto combattente che ha militato nelle fila di Allende, viene distolto dal proprio ritiro a Puerto Carmen sull’isola di Chiloè dalle ombre di un passato non ancora sconfitto, dal quale riemergono le ambigue figure degli ex compagni Espinoza e Salamendi, quella del magnate tedesco Kramer e quella dell’ufficiale sovietico Slava, decisi a coinvolgerlo in un’ultima “missione” alla quale non può sottrarsi.

Di qui un’intricata rincorsa nel tempo e nello spazio, tra minacce che ritornano, ricatti e investigazioni, sullo sfondo di uno scacchiere abitato dalle ombre delle dittature del secolo scorso.

Lo spunto storico è la vicenda di un cosacco del Don che fu Atamano e che si unì alle Ss naziste durante la seconda guerra mondiale, Pëtr Nikolaevic Krasnov, responsabile di orrendi massacri. La politica quindi è l’altro grande filo conduttore, ma una politica intesa nella sua veste più inquietante, quella che coinvolge nei propri mutamenti di sorte le vite di uomini e donne comuni, senza riguardo né motivazione.

È difficile valutare un libro che abbia tra i propri più alti intenti quello di sensibilizzare, di aiutare il lettore a ricordare: perché di certo questo non è un romanzo di intrattenimento. È difficile principalmente perché non siamo abituati a disgiungere il valore letterario puro dalla tematica trattata, soprattutto quando questa si fa portavoce di un forte messaggio libertario, di un inesausto canto della resistenza nei confronti degli abusi del potere. Forse in questo caso la Storia era davvero troppo complicata per lasciarsi tradurre in un intreccio che non riuscisse alle volte un po’ macchinoso, e le passioni – in negativo e in positivo – dei personaggi in campo troppo assolute per sfuggire a dialoghi in ultima analisi più letterari del reale, specie per chi ha amato il Sepúlveda puro ed essenziale di Il mondo alla fine del mondo.

La fine della storia resta un libro che si immerge con coraggio in alcune delle pagine più buie del nostro passato, ancora pericolosamente misconosciute.

 

(Luis Sepúlveda, La fine della storia, trad. di Ilide Carmignani, Guanda, 2016, pp. 208, euro 17)
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LA CRITICA

Un movimentato intrigo internazionale vede la statura morale di un uomo ergersi sopra le ombre politiche del secolo scorso.

VOTO

7/10

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