La ricerca di un rifugio da ogni guerra
"La pace" di Robert Bausch è uno sguardo sull’uomo
di Francesco Vannutelli / 17 novembre 2017
La guerra la fanno gli esseri umani, anche se è la cosa più inumana che l’uomo possa concepire. I protagonisti di La pace, il romanzo di Richard Bausch pubblicato in Italia da Playground con la traduzione di Martino Adani, si trovano a cercare quello che resta della loro umanità in mezzo alla seconda guerra mondiale.
È il 1944. Le truppe alleate stanno avanzando verso nord. A Cassino, un manipolo di soldati statunitensi riceve l’ordine di scalare una collina per studiare la posizione del nemico tedesco. Sotto la guida di un vecchio italiano, il caporale Robert Marson e i soldati Saul Asch e Benny Joyner iniziano la scalata sotto la pioggia, perseguitati dal freddo, dalla nostalgia di causa, dalla paura del nemico e dal dubbio di aver assistito a un omicidio che non aveva niente a che fare con la guerra.
Richard Bausch è uno dei migliori scrittori esistenti capace di alternare racconto e romanzo. Nella sua carriera ha pubblicato nove raccolte e dodici romanzi. Ha ricevuto premi per entrambi i generi, nel 2012 il Rea Award ha certificato l’eccellenza raggiunta nella forma breve. È un autore poco noto in Europa e bisogna ringraziare Playground per avercelo fatto conoscere. Con La pace, pubblicato negli Stati Uniti nel 2008, ha vinto il Dayton Literary Peace Price.
Attraverso un racconto di guerra che non ha niente di straordinario nella sua quotidiana atrocità, preso in parte dalle memorie del padre, Bausch riflette sulla condizione umana di fronte alla sua stessa negazione. La guerra obbliga gli uomini a vedersi come nemici, a tornare in uno stato di natura in cui ognuno è un pericolo e quello che conta è solo la sopravvivenza. C’è ancora spazio, in un contesto simile, per il dubbio morale? Ci può essere differenza tra uccisioni di guerra e omicidio? Perché prima di iniziare a scalare la collina, il sergente del manipolo di Marson ha ucciso a sangue freddo una ragazza la cui unica colpa era di essere stata con un nazista. Un alleato del nemico, dice il sergente Glick, una persona che non c’entrava niente, pensano gli altri. Marson e i suoi uomini marciano in compagnia del dubbio. Non sanno se possono fidarsi della loro guida, non sanno quanti nemici aspettarsi, quanto sentirsi circondati.
Viene in mente tanto cinema leggendo La pace. L’angoscia di Marson ricorda quella di Tom Hanks in Salvate il soldato Ryan. La profondità della riflessione porta dalle parti di Conrad, Cuore di tenebra e poi Apocalypse Now. Bausch riempie le poco più di 180 pagine del suo romanzo tratteggiando i personaggi con pochi colpi carichi di mestiere. I ricordi di casa, dello sbarco in Sicilia e di una realtà di guerra diversa, fatta di vino rubato ai fascisti e bevuto in compagnia, il tormento cutaneo che perseguita Asch che è uno sfogo di qualcosa di molto più profondo.
La pace che i soldati cercano non è solo quella del conflitto. È la pace personale, il senso di tranquillità, di essere usciti da una zona di pericolo morale oltreché fisico. C’è una presenza costante del divino nelle sofferenze dei protagonisti. C’è in Marson, cattolico convinto, nell’ebreo non praticante Asch, nell’ateismo di Joyner. L’ulteriore è un rifugio e uno sguardo costante su di loro, come quello dei cecchini tedeschi. Perché la guerra, così come la pace, non è solo un conflitto esterno.
(Richard Bausch, La pace, trad. di M. Adani, Playground, 2017, pp. 187, euro 16)
LA CRITICA
Un racconto di guerra che è soprattutto riflessione sull’essere umano. Grazie a Playground per aver portato in Italia Richard Bausch e La pace.
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