Racconti di amore, morte e follia
“L’aldilà”, raccolta di racconti di Horacio Quiroga
di Daria De Pascale / 13 dicembre 2017
L’uruguayano Horacio Quiroga è uno di quegli scrittori la cui stessa vita assomiglia a un romanzo: diplomatico in Argentina oltre che scrittore affermato, visse anche per diversi anni nella giungla, di cui amò intensamente la natura indomabile. Ma fu anche toccato per tutto il corso della sua vita dalla morte delle persone più care – tra cui il suo migliore amico, ucciso per sbaglio dall’autore stesso, che gli sparò mentre gli preparava il fucile per un duello. Anche come riflesso di questa vita straordinaria vanno forse letti i racconti di L’aldilà (Edizioni Arcoiris, 2016), originariamente pubblicati nel 1935.
Fervido lettore di Edgar Allan Poe, che considera un maestro, Quiroga tesse trame in cui la follia, l’amore e la morte si intrecciano in narrazioni sperimentali, di stampo modernista.
In L’aldilà, elementi soprannaturali – apparizioni di fantasmi, preveggenze e amnesie – irrompono nella vita quotidiana dei protagonisti, provocando collassi nella loro percezione del mondo e portandoli alla follia, quando non alla morte. Come tipico di quel grande universo narrativo sudamericano che va sotto l’etichetta di «realismo magico», l’evento soprannaturale non è mai spiegato ma solo lasciato intuire al lettore. Allo stesso modo, esso non viene mai messo in discussione dal protagonista, che si limita a viverlo e a pagarne fino in fondo le conseguenze.
Calati appieno nel loro tempo, i racconti di Horacio Quiroga affascinano per la malinconia che emerge dalle loro ambientazioni, in particolar modo quelle cittadine – quasi che, nelle strade di Buenos Aires così come negli studi di Hollywood, aleggiasse la percezione di una felicità perduta per sempre e di una catastrofe imminente.
Proprio il cinema rappresenta un terreno di particolare interesse per Quiroga, che vi dedica ben due racconti, Il vampiro e Il puritano. In entrambi, una parte dell’anima degli attori rimane impressa sulla pellicola dei film in cui recitano: accade così che in determinate circostanze essi rimangano a vagare sulla terra dopo la morte sotto forma di fantasmi.
Un’idea che richiama alla memoria la Teoria degli spettri di Balzac sulla fotografia: quella secondo cui ogni corpo è costituito da strati di spettri, ognuno dei quali viene distaccato a ogni operazione daguerriana, portando alla perdita di una sua parte fondamentale.
Tuttavia, i racconti di L’aldilà risultano un po’ invecchiati a un lettore di oggi, per diverse ragioni.
La prima è propriamente narrativa. Abituati come siamo a una certa coerenza narrativa, e più smaliziati nei confronti delle storie, percepiamo come non del tutto riusciti racconti come quelli di Quiroga, di certo sperimentali ma tutti con un ritmo piuttosto simile: a fronte di premesse dal fascino indiscutibile, tendono a declinare nel corso dello svolgimento fino ad arrivare a epiloghi quasi inconsistenti – o quantomeno non preparati dagli avvenimenti che li precedono.
La seconda sta nel modo in cui temi come quello della follia sono affrontati. Se lo spegnersi della ragione in Poe è una discesa nell’inferno di cui il lettore è del tutto partecipe, la follia raccontata da Quiroga appare più stereotipata, sia quando è vissuta in prima persona sia quando è raccontata da uno spettatore esterno. Si ha la percezione che non vi sia alcuna immedesimazione, né comprensione verso questi personaggi, e questa sensazione rende alcuni racconti difficili da apprezzare.
Resta però un oggetto di interesse, ed è quello che tali racconti suscitano se ci caliamo nell’epoca in cui si collocano e ci disponiamo a farci affascinare dal soprannaturale.
(Horacio Quiroga, L’aldilà, trad. di Francesco Verde, Edizioni Arcoiris, pp. 176, euro 12)
LA CRITICA
Una raccolta di indubbio interesse per gli specialisti, che oggi può attrarre soprattutto i lettori che subiscono il fascino del soprannaturale.
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