Un viaggio nel passato per non tradire sè stessi
“L’arte di rinascere” di Martin Page
di Paola Lorenzini / 21 dicembre 2017
Sullo sfondo di L’arte di rinascere, l’ultimo romanzo di Martin Page pubblicato in Italia (Edizioni Clichy, 2017) c’è una Parigi che ha cambiato aspetto: è una metropoli piegata dagli attentati terroristici, dopo i quali le persone non sono più soltanto volti indefiniti nella folla, ma, con loro, a sfilare lungo i boulevard c’è anche la loro biografia, la musica che ascoltano, le storie dei loro cari. È una Parigi lontana dai cliché, dalle cartoline che la rappresentano come la città degli innamorati e delle luci dei bistrot alla moda. Se si guarda bene è possibile vedere le ferite ancora aperte e impossibili da rimarginare.
Martin ha da poco compiuto quarantuno anni, ha una moglie e un figlio. Ha avuto la soddisfazione di vedere pubblicati alcuni suoi libri, ma la sua situazione economica resta precaria, il costo della vita è molto alto, il tetto e la caldaia sono da riparare. Mentre la sua famiglia va a trascorrere le vacanze in Svezia, Martin si reca nella capitale francese, dove viene ospitato nella casa dell’amico artista Joachim per lavorare al riadattamento di un suo romanzo in chiave cinematografica, un’occasione che potrebbe dare una svolta alla sua vita.
Mentre di giorno il lavoro si rivela ben diverso da ciò che si era aspettato, di sera – tornato a casa – si addormenta all’interno di una «macchina per rimontare il tempo», grazie alla quale può tornare indietro di ventinove anni. L’incontro fortuito con il Martin dodicenne diventa un appuntamento fisso, quasi una necessità, l’unico colore nel grigiore di rapporti di circostanza che prevedono falsità e inganni, perché è impossibile mentire a sé stessi.
Martin riconosce in quel bambino la stessa diffidenza verso gli adulti che lui stesso nutriva. Nel dialogo con lui, capisce che forse da bambino era più sicuro di sé e che forse, dei due, chi ha maggior bisogno di conforto è lui. Il Martin adulto può così ricordare i sogni e le ambizioni d’infanzia e capire di avere in parte tradito il bambino che è stato.
Dodici anni è l’età perfetta per non essere ancora stati intaccati dalle brutture del mondo. A dodici anni puoi vestirti male senza curarti dell’opinione altrui; puoi fare tutte le domande che vuoi senza timore di essere indiscreto; puoi mangiare e dormire senza regole, sei entusiasta all’idea della vita: un enorme mistero, un milione di possibilità e di porte aperte. Il mondo sta aspettando solo te, è ai tuoi piedi. Inoltre a dodici anni puoi essere ridicolo, straordinariamente ridicolo.
La voce del bambino è incalzante, scuote e rimprovera senza peli sulla lingua, mette in discussione ogni cosa e fa dubitare di tutto. Eppure, proprio per questo è in grado di infondere grande energia e voglia di cambiare le cose, c’è sempre tempo per farlo.
Cosa abbiamo fatto in tutti questi anni di vita? Abbiamo realizzato i nostri sogni d’infanzia? Siamo scesi a compromessi importanti? Siamo la persona che il nostro doppio dodicenne avrebbe desiderato che diventassimo? Ne abbiamo passate tante, siamo stati vittima di bullismo, siamo stati feriti, abbiamo visto fallire alcune ambizioni. Ma dopotutto siamo ancora qui, siamo sopravvissuti – anche piuttosto dignitosamente –, le difficoltà ci hanno scalfito ma mai abbattuto. Ce l’abbiamo fatta.
Ben lontano da un pessimismo dilagante, il Martin adulto potrà fare tesoro dei nuovi insegnamenti e portare nel presente una nuova visione della vita più serena ma soprattutto più libera. Con la consapevolezza di non essere solo nell’atto di scrivere – la creazione diventa un’arma esistenziale – e in quello di vivere, egli può rendere omaggio al giovane sé stesso lasciandosi il dolore alle spalle, non perseguendo a ogni costo la corrosiva idea di successo che spesso rende prigionieri della propria vita, imparando piuttosto a non tradire la propria natura.
«L’attaccamento alla sfortuna, il ricordo delle sofferenze, non significano fedeltà, ma protrarre le vessazioni. Tuttavia stavolta è la nostra mano a colpire. Dobbiamo rifiutare che il dolore risuoni, rifiutare che sia un’onda, circoscriverlo perché sia un punto. Essere tristi è una forma di tradimento. La gioia è un atto di coraggio politico.»
L’arte di rinascere racconta con leggerezza una realtà che i giovani adulti hanno costantemente sotto gli occhi, quella di una società che richiede sempre di rendere al massimo e non ammette debolezze. Il doppio dodicenne rivendica a gran voce il diritto di poter sbagliare, di volersi bene nonostante gli errori, anzi, proprio per non essersi fatto abbattere da questi. Questo romanzo, che combina abilmente autobiografia, finzione e fantascienza, è un inno alla semplicità, ad accogliere tutto quello che la vita offre, fallimenti compresi, ad accettare l’essere umano per quello che è – un funambolo in bilico sul fragile filo della vita, ma anche un eroe delle piccole cose.
È un romanzo semplice e molto tenero, che riporta al passato per capire il presente e orientare il futuro; diverte anche, non in modo artefatto ma di un sorriso sincero e sano.
(Martin Page, L’arte di rinascere, trad. di Tania Spagnoli, Edizioni Clichy, 2017, pp. 152, euro 15)
LA CRITICA
Un invito a lasciarsi il dolore alle spalle e a nutrire un po’ di riconoscenza per il proprio doppio dodicenne che, nonostante le avversità della vita, ce l’ha fatta.
Comments