La solitudine della madre
“La madre di Eva” di Silvia Ferreri
di Chiara Gulino / 27 marzo 2018
Ogni genitore desidera il meglio per il proprio figlio. A ogni madre è capitato di fantasticare, carezzandosi dolcemente il pancione, sul futuro del proprio bambino e sul suo essere una madre diversa, migliore, dichiarando che lo avrebbe lasciato libero di scegliere quello che sarebbe voluto diventare pur di vederlo felice. Poi però la vita non è quasi mai una equazione lineare. Ti fa arrabbiare, infuriare, inorridire di fronte alla ferrea volontà di un essere uscito dal tuo corpo ma che non riconosci più e vedi come un alieno. Tutto ha principio dal corpo. Un corpo prigione. In La madre di Eva (Neo Edizioni, 2017) Silvia Ferreri tratta senza remore e senza sconti un tema delicato e spinoso, scandagliando in profondità una questione diventata cruciale nella nostra età contemporanea: l’identità sessuale, l’appartenenza a qualsiasi cosa sia in grado di contenderci e convincerci di essere anche solo un po’ adeguati. Racconta, a volte in modo raggelante, l’inadeguatezza che si prova rispetto a certe scelte estreme dei figli come quella di voler cambiare sesso. Una inadeguatezza che porta a compiere atti in sé inenarrabili per pudore o a metà strada fra senso di colpa e redenzione, trasformando il crudo fatto dell’attesa di una operazione chirurgica in una di quelle storie magnetiche che rendono la letteratura quanto di più vicino ci possa essere alla vita.
La madre di Eva, che non ha altra connotazione se non quello di essere madre, né nome proprio, si trova a fare i conti con una di quelle realtà scioccanti che ti obbligano a passare in rassegna ogni fotogramma della tua vita con la lente di ingrandimento per capire dove hai sbagliato. La donna si interroga, si tormenta e si confessa. Vive di dubbi, assilli, contraddizioni e interrogativi che esigono risposte difficili. Affronta una quotidiana battaglia tra il senso della sua vicissitudine dolorosa, che ha un nome di tre parole “disforia di genere”, e il credito concesso all’esistenza, alla sua possibilità di risarcire: «Ci sono genitori i cui figli a vent’anni sono campioni di nuoto o di ginnastica. […] E ci sono genitori che hanno figli che a vent’anni muoiono su una strada, lasciano la vita contro un guardrail o a un incrocio non rispettato. […] Ci sono genitori che hanno figli che vanno lontano, figli che si sposano, che divorziato. Figli che fanno figli.
E ci sono genitori che hanno figli che cambiano sesso. A diciotto anni. Dopo una vita passata a guardarti con gli occhi sbagliati».
È un romanzo pieno di dolore, feroce, attraversato da una forte energia intima che non ha paura di qualche affermazione difficile. Insieme ai pensieri, le immagini e sensazioni che attraversano la mente della madre è il corpo di Eva il protagonista occulto, con pelle, peli, pube, pene e seni. Il dolore è il collante che tiene insieme il tutto. Un dolore lancinante, muto, coinvolgente e virulento. Essere madri non è semplice: «Capii allora che la paura era entrata nella mia vita per non andarsene più. Come se insieme al mio seme e a quello di tuo padre se ne fosse impiantato abusivamente un altro, quello dell’inquietudine, del terrore per il mondo in cui stavo piantando un figlio. E quel seme abusivo cresceva insieme a te, anzi, si nutriva di te e della vita che ti avrebbe portato fin qui».
La madre di Eva è chiamata a decifrare non solo la figlia ma anche se stessa e i suoi tormenti interiori. È una donna che cerca di guardare avanti rimanendo sospesa sul filo della sua storia, cercando di non romperlo quel filo e di non cadere. Sarà lei ad accompagnare quella che all’inizio sembrava una comune adolescente spigolosa e arrabbiata che mastica silenzi, in Serbia per operarsi.
Infatti La madre di Eva racconta dell’incapacità di amare una figlia, una moglie, una madre, provando comunque a farlo ma spesso in modo sbagliato, insufficiente, inadeguato rispetto all’idea stessa di cosa debba essere l’amore. Racconta di un padre e marito che, incapace di districarsi in un fatto più grande di lui, rimane intrappolato nell’incompiutezza del tempo presente e lascia che la moglie affronti tutto da sola.
Il flusso di pensieri allenta l’azione e la dilata oltre la pagina e i muri di casa sfiancando il lettore ed esigendo una partecipazione vigile.
L’implacabilità della prosa ha il potere di cancellare le normali coordinate grazie a cui ci orientiamo nella realtà, e distinguiamo il passato e il presente, il giusto e l’ingiusto.
(Silvia Ferreri, La madre di Eva, Neo Edizioni, 2017, pp. 200, euro 15)
LA CRITICA
La madre di Eva è una storia dolorosa di solitudini e di ricerca di sé stessi nella propria diversità sessuale.
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