La saggezza degli …A Toys Orchestra
Lub Dub, l'ultimo lavoro della band campana
di Luigi Ippoliti / 9 maggio 2018
La scelta della lingua inglese, per un gruppo non inglese, è sempre complessa e, a posteriori, viste le premesse e i pre concetti, coraggiosa. Per quanto un ipotetico successo – tralasciando la questione sulla maggiore adattabilità della fonetica inglese rispetto a quella italiana nella costruzione e nella realizzazione della melodia – oltre i confini italiani possa affascinare e spingere verso la decisione di adottare l’inglese, questa non è automaticamente un pass per il trionfo. Lo stesso aspetto, infatti, è da tenere in considerazione per tutti i musicisti non di lingua inglese che prendono questo via. Il mercato globale è saturo e solo poche eccellenze riescono a sfruttare a pieno la propria scelta.
Il nostro mercato, a conti fatti, risulta sempre restio nell’assorbire e assimilare fenomeni del genere.
Proprio per questo, nonostante il sottobosco musicale italiano sia pieno di gruppi che tentano di farcela sfruttando l’inglese, non sono moltissimi quelli che, a livello nazionale o internazionale, ci sono riusciti: l’esempio più eclatante è sicuramente quello dei Lacuna Coil; c’è il doppio caso reggae Mellow Mood e Alborosie; I Giardini di Mirò; gli Aucan – si potrebbe citare il recente successo dei Måneskin con “Chosen”, ma non è un caso che il secondo pezzo, “Morirò da re”, sia in italiano.
In questo contesto, poi, ci sono quattro ragazzi di Agropoli, gli …A Toys Orchestra, che in quasi vent’anni di carriera sono stati in grado di descrivere la propria parabola musicale andando ad attingere dalla tradizione anglofona, rinunciando a quella italiana, riuscendo a riscuotere un discreto successo. E oggi, a quattro anni dal riuscito Butterfly Effect, tornano con Lub Dub.
Nonostante possa suonare retorico e stucchevole, è impossibile non soffermarsi sulla scelta linguistica e su ciò che comporta per l’ascoltatore italiano avere a che fare con un gruppo italiano che decide di cantare in inglese – a maggior ragione in questi anni in cui l’itpop ha stravolto e sta stravolgendo i cardini della fruizione e del rapporto indie/mainstream. Lub Dub suona in tutto e per tutto come un prodotto estero riuscito: come il suo predecessore, ma andando indietro negli anni, da Technicolor Dreams ai due Midnight, non ci si sofferma mai a pensare di trovarsi di fronte a un lavoro fatto da italiani che vogliono fare gli inglesi o gli americani. Non ci sono tracce di pressappochismo o provincialismo, inteso come tentativo goffo di essere altro da ciò che si è, raffazzonando un’imitazione patetica di un falso mito. Non c’è imitazione. Benché meno il tentativo dell’imitazione. Ciò che esce dal talento dai quattro campani, a prescindere dalla riuscita o meno di un lavoro, è pieno di una bontà frutto di sensibilità e cultura. Le condizioni che hanno fatto sì che gli …A Toys Orchestra riuscissero a emergere nonostante la lingua – qui il centro dell’idea di coraggio attorno a questo tipo di scelta – derivano dalla sincerità che riescono a esprimere in ogni loro album.
In Lub Dub il massimalismo di Butterfly Effect fa posto a un minimalismo malinconico, che comunque non disdegna momenti corali particolarmente riusciti (“Believe”, “Candies & Flowers”). Quest’ultimo lavoro è sommesso, stratificato. L’arrangiamento non è immediato, ma complesso e ricco. C’è una diffusa tensione meditativa che percorre l’album, dalla prima traccia fino all’ultima. In tutta la loro carriera, gli …A Toys Orchestra non sono mai stati in grado di auto narrarsi e rappresentare il proprio messaggio artistico con tanta capacità e coscienza di sé. Rinunciando (volontariamente o involontariamente) a pezzi di sicuro impatto, come nel caso di “Celentano” in Midnight Talks, con Lub Dub il gruppo guidato da Enzo Moretto tocca vette solo sfiorate in precedenza – ed era difficile, avendo un antenato come Technicolor Dreams.
Lasciando da parte i guizzi alla Arcade Fire di Butterfly Effect, Lub Dub a volte gira come un qualcosa che può rimandare agli Wilco, ma pare avere lo stesso stigma di due gruppi: Get Well Soon e Syd Matters – entrambi musicisti non di lingua inglese con il cantato in inglese: tedeschi i primi, francesi i secondi. C’è un filo che collega i tre gruppi. Quel livello di comprensione di sé tramutata in pop, una propensione a dare un senso di ballata anche a brani che ballate non sono e che nei Get Well Soon è sfociata in Rest Now, Weary Head! You Will Get Well Soon e Vexations (importanti i rimandi di “Like a Matisse”) e nei Syd Matters in Ghost Days e Brotherocean . In “Lub Dub” sono vicinissimi i primi Get Well Soon: in entrambi il tentativo di declinare i climax alla Sigur Rós alla propria interpretazione del pop è più che palese; nonostante un passaggio in crescendo un po’ chiamato, ma di notevole effetto, gli …A Toys Orchestra disegnano il finale esemplare di un album serio, dove la maturità acquisita negli anni viene messa a disposizione al massimo delle proprie potenzialità.
LA CRITICA
Con Lub Dub gli … A Toys Orchestra confermano quanto di buono sia stato fatto negli anni, riuscendo a superarsi scrivendo un album in cui il talento viene gestito da una maturità acquisita, album dopo album, in questi ultimi vent’anni.
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