IL PUNTO SULL’ACCOGLIENZA #4

Se sparisse la protezione umanitaria

di / 10 settembre 2018

Sono già uscite le prime indiscrezioni sull’imminente decreto Salvini che, se venissero confermate, punta alla revoca del riconoscimento della protezione umanitaria. Nel nostro primo articolo avevamo descritto le tre possibilità al quale un richiedente asilo può aspirare: asilo politico (status di rifugiato), protezione sussidiaria e, appunto, la protezione umanitaria.

Quest’ultima è quella che consente alla commissione territoriale, e al giudice in un eventuale ricorso, ampi margini di discrezionalità nel caso il richiedente non fornisca (o non riesca a fornire) motivazioni tali da consentirgli il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria. Volendola semplificare un po’, la commissione o il giudice non ritengono sussistano i presupposti per rilasciare un permesso di soggiorno di cinque anni ma stabiliscono che il richiedente meriti una possibilità dal punto di vista, appunto, “umano”. Possono essere tanti i motivi che inducono l’organo giudicante al riconoscimento della protezione umanitaria, e vanno dalle fragilità di ordine psicologico dovute a traumi pregressi o post-migratori o al comprovato impegno del migrante nel volersi integrare nel tessuto sociale.

Lo scorso febbraio la Cassazione ha inoltre stabilito che l’integrazione sociale è uno dei motivi che concorrono a determinare la situazione di vulnerabilità personale rilevante ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari. E che in particolare va fatta una «valutazione comparativa per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza».

Secondo quanto si legge nello schema del decreto legge, diffuso da Adnkronos, il permesso di soggiorno per motivi umanitari verrebbe sostituito da un permesso di soggiorno rilasciato in «casi speciali per esigenze di carattere umanitario» che dà diritto alla possibilità di un “soggiorno temporaneo”.

Questi casi speciali sono:

Stranieri che versano in condizioni di salute di “eccezionale gravità”. Permesso di soggiorno (valido solo nel territorio nazionale) per il tempo attestato dalla certificazione sanitaria ma comunque non superiore a un anno e rinnovabile finché persistono le condizioni di salute di eccezionale gravità.

Permesso di soggiorno per calamità naturale. Valido sei mesi. Non può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Qualora lo straniero abbia compiuto “atti di valore civile” su proposta del prefetto viene rilasciato un permesso di soggiorno della durata di due anni.

Stop. Secondo quanto si legge dalla bozza, dunque, solo in questi tre casi la commissione può rilasciare un permesso di soggiorno qualora non venissero riscontrati motivi per riconoscere lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria. Tutto questo si ripercuoterebbe anche sul sistema di accoglienza che allo stato attuale tutela anche i titolari di permesso umanitario; su tutte le disposizioni in materia di accoglienza, dunque, verrebbe sostituita la dicitura «tutela dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei destinatari di altre forme di protezione umanitaria» con «dei titolari di protezione internazionale e dei minori stranieri non accompagnati». Quindi, a quanto pare, anche i tre casi speciali, compresi quelli con gli eccezionali motivi di salute reterebbero esclusi dal sistema di accoglienza.

Inoltre il decreto prevederebbe:

Il raddoppio della durata massima del trattenimento dello straniero nei Cpr (Centri di permanenza per il rimpatrio) da novanta a centottanta giorni e un aumento di fondi destinati ai rimpatri.

In sostanza il migrante, dopo i mesi (in alcuni casi anni) di dura traversata, dopo aver subito violenze nei paesi di transito e successivamente allo sbarco aver passato un lungo periodo a sperare nel riconoscimento di uno status, a studiare la lingua italiana e a frequentare corsi di formazione per costruirsi un futuro, corre il rischio di ritrovarsi recluso per centottanta giorni in un Cpr in attesa del rimpatrio.

Rigetto della domanda di reiterata (sul significato di reiterata rimando al mio primo articolo) qualora presentata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento. Domanda considerata inammissibile «in quanto presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento stesso».

E qui lo schema di decreto legge considera come oggettivo un dato al quale non è possibile in alcun modo attribuire un’oggettività: dà per scontato che la domanda reiterata presentata dopo un provvedimento di allontanamento venga presentata «al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento stesso». In realtà possono essere tanti i motivi secondo i quali uno straniero può ritrovarsi nella condizione di presentare una domanda reiterata dopo essere stato raggiunto da un provvedimento di allontanamento e possono attenere o all’inefficienza del legale che ne ha seguito in prima istanza la pratica, o all’emergere di nuove comprovate motivazioni, non analizzate in precedenza, che gli consentirebbero il diritto di presentare una nuova domanda di richiesta di protezione o a una non effettiva conoscenza delle possibilità di presentare una nuova istanza prima del provvedimento di espulsione.

Insomma, il decreto, almeno nelle premesse, punta a decapitare un diritto del quale fino a questo momento hanno goduto circa il 25% dei richiedenti asilo (a fronte di un 60-65% di dinieghi e di un 7% di attribuzioni della protezione sussidiaria o dello status di rifugiato).

Ognuno la pensi come vuole, ma l’abolizione della protezione umanitaria rappresenta, a nostro avviso, al di là delle implicazioni, appunto, umanitarie, e dei diritti civili negati, un errore “tecnico”.

Bisognerebbe pur tener presente che da quando viene inoltrata la domanda di richiesta asilo fino all’ottenimento dello status (o al diniego) passano almeno sei mesi (anche se i tempi sono in media molto più lunghi) ai quali si aggiunge il periodo di un eventuale ricorso in tribunale. Durante questo periodo al migrante viene concessa la possibilità di imparare la lingua italiana e di poter svolgere corsi di formazione in vista di un impiego professionale. Sono tanti i richiedenti asilo (la maggior parte) che durante l’attesa intraprendono dei percorsi di formazione con la sincera intenzione di costruirsi una vita. Negargli la possibilità di un permesso di soggiorno umanitario significherebbe di fatto annullare inesorabilmente tutto l’impegno profuso nonché vanificare la dedizione professionale di molti operatori del settore.

Insomma, il rischio è quello di incrementare in un colpo solo demotivazione, clandestinità, sfruttamento lavorativo sommerso e illecito. Esattamente il contrario al quale mira, almeno nelle intenzioni, il decreto stesso.

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