Un mondo dove la felicità è solo un abbaglio: fino alla rivoluzione individuale

“Miden” di Veronica Raimo

di / 23 ottobre 2018

Copertina di "Miden" di Veronica Raimo

Esiste un decalogo per essere felici? Un posto ideale dove vivere e sentirsi al sicuro? Così potrebbe essere a Miden, uno stato ideale, chiaramente ispirato alle realtà nordeuropee, dove la struttura umana è posta al centro e dove la comunità è coesa e protettiva. La realtà di Miden (Mondadori, 2018) è sintetizzata e dislocata come quella che si produce nei sogni e l’intero romanzo attraversa il filone distopico che l’autrice, Veronica Raimo, tesse con grande abilità narrativa procedendo attraverso un dialogo a due voci tra i due protagonisti – e a volte anche tra gli altri membri della comunità “perfetta” – la compagna, incinta, e il professore: l’alternanza tra i capitoli si snoda in un crescendo di flashback e situazioni presenti, partendo dalla mattina luminosa in cui succede tutto. E la bolla perfetta di Miden e del suo schema ideale si rompe.

Si infrange contro la trama del controllo puntiforme che questo Stato ideale mette in atto: aprendo una riflessione profonda sul benessere fisico e psichico da preservare con regole ben precise e uno spirito quasi corporativo, che tende a escludere il diverso, l’altro da sé.

Come ha raccontato l’autrice il romanzo ha avuto una gestazione di cinque anni ed è uscito in un momento storico particolare: quello successivo agli abusi e ricatti sessuali perpetrati dal produttore statunitense Harvey Weinstein, denunciati da numerose attrici. La denuncia “retroattiva” è il nodo di Miden: la ragazza che bussa alla porta della casa del professore e della sua compagna ha già subito le violenze, è passato del tempo, ma solo due anni dopo ha trovato la lucidità di rendersi conto che quello che ha vissuto non era una relazione, ma una forma di abuso.

«A Miden esisteva una Commissione apposita, atta a creare e a valutare la pertinenza di un determinato trauma, suddivisa in sottocommissioni a seconda dell’ambito clinico».

Così lei, la ragazza che denuncia, diviene la “subente” e il professore il “perpetratore” e inizia un processo vero e proprio in cui tutta la comunità e i suoi membri sono chiamati a esprimersi.

L’autrice si sofferma sui racconti dei protagonisti – entrambi forestieri, emigrati a Miden e provenienti da un mondo dominato dal “Crollo” – e sulla loro “ricostruzione” degli eventi, dall’inizio della loro storia d’amore, alla inadeguatezza in una comunità chiusa che si autopreserva ma che non garantisce assolutamente un equilibrio: «La mia vita prima di Miden. La mia vita al di là del mare. Una naufraga. Da dove venivo? C’era più bellezza in quella domanda che nel Sogno di Miden».

Il punto nevralgico dell’intero romanzo è proprio questo sguardo tagliente e analitico sul concetto di comunità, in un momento storico-politico in cui ha assunto significati contrastanti. In cui aggrapparsi all’auto-disciplina e al decoro sembrano le risposte “giuste” e chi non è capace di rispettarle, di integrarsi diviene spurio.

Il tutor, l’istruttrice di nuoto, l’insegnante di fotografia, il parrucchiere, la preside si alternano nelle dichiarazioni del loro questionario per valutare se il professore “perpetratore” presunto sia o meno all’altezza di continuare a vivere a Miden e insegnare. Tra i dubbi, i confini sottili e il desiderio di scappare dal clima di inquisizione i personaggi sono vivi: «Così come quando avevo letto la lettera della Commissione. Mi sentivo destinataria di un’altra domanda: “Amiamo davvero la persona che conosciamo?”».

Il finale, o meglio il verdetto, è la svolta: perché apre all’accettazione del conflitto e alla necessità di rimettersi in gioco, che soprattutto la compagna metterà in atto, nel segno di una nuova vita.

 

(Veronica Raimo, Miden, Mondadori , 2018, pp. 200, euro 18,50)
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LA CRITICA

Un’analisi sottile tra colpevolezza e innocenza in un mondo edulcorato e chiuso dove la salvezza è tornare alla propria identità.

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8/10

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