Fiumani e le cose che non torneranno più
L'ultimo album dei Diaframma, "L'abisso"
di Luigi Ippoliti / 20 dicembre 2018
Vedere certi giganti della musica continuare a produrre album nonostante gli anni che passano, proseguendo per la propria strada senza essere influenzati minimamente da quanto succede nel contemporaneo, fa un certo effetto. Come chiusi in una sorta di bolla, i Diaframma di Federico Fiumani sono tornati con il loro ennesimo album in studio, L’abisso.
I Diaframma il loro marchio sulla Storia della musica italiana l’hanno già messo negli anni ’80 con Siberia e quella rimarrà sempre la loro epoca, dove la propria narrazione ha trovato il miglior terreno per esprimersi: figli di Ian Curtis e dei suoi Joy Division, sono riusciti a importare in Italia la rabbia e il dolore che trasudava in Unknown Pleasures e Closer.
Quindi, oggi, dopo trent’anni, dal gruppo di origine toscana non ci si aspetta nulla di più di quello che riescano a dare. La retorica attorno al i Diaframma oggi non possono più stravolgere la musica è tanto banale quanto necessaria. Perché è vero che non possono più spostare il filo della Storia della musica verso di loro, ma possono sicuramente produrre dei buonissimi album. L’abisso lo testimonia.
Nonostante Fiumani di anni, in questo 2018, ne abbia compiuti cinquantotto, dentro quest’ultimo lavoro c’è una carica artistica violenta. Il tempo è passato, sì, ma non lo ha reso miope. A differenza di certe tendenze di mercato di oggi, dove è molto complicato riuscire a identificare un perno artistico attorno a cui muovere i propri lavori, nei Diaframma (ma vengono in mente dei quasi coetanei come Cesare Malfatti o Paolo Benvegnù), questo si trova, è lampante: chiaramente, poi, potrà piacere o no, ma è innegabile che si abbia a che fare con qualcuno che ha qualcosa da dire. Che non sta scrivendo album con l’unico obiettivo di entrare in classifica.
Quello che ancora oggi fa Federico Fiumani è cercare di raccontare qualcosa in maniera diversa: alternativa. Dietro questa parola, che negli ultimi anni ha subito deformazioni mostruose, ci sono due possibili letture: o una non appartenenza a una major, o un modo di raccontare che non segua un’idea artistica (tendenzialmente, però, di mercato) dominante. I Diaframma abbracciano quest’ultima e lo fanno a volte meglio e a volte peggio: ma lo fanno sempre.
Musicalmente non ci sono grossi stravolgimenti, chitarre dark wave, sprazzi di punk e cantautorato – note di merito per “Leggerezza” e “Così delicata”, qualche punto in meno per “L’impero del male”.
L’abisso, infatti, non è la cosa migliore tirata fuori dai Diaframma, ma è sicuramente un lavoro che cerca di manifestarsi nel modo più onesto possibile.
L’abisso è, come dice lo stesso Fiumani, il quasi raggiungimento dei sessant’anni e il luogo dove sta sprofondando l’Occidente: ma è, soprattutto, la riconferma di un artista che ha a che fare con il mondo (quello interno e quello esterno) che un po’ alla volta sta andando in frantumi.
LA CRITICA
L’abisso non sposta gli equilibri della carriera dei Diaframma, ma riconferma la loro capacità di saper scrivere ancora dei buoni album.
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