Una solitudine tutta particolare
"Gloria Bell" di Sebastian Lelio
di Francesco Vannutelli / 22 marzo 2019
Per il suo secondo film in lingua inglese il regista cileno Sebastian Lelio ha deciso di partire da quello che è probabilmente il suo film più famoso. Gloria diventa Gloria Bell e si impreziosisce della presenza nel cast di una straordinaria Julianne Moore, supportata da John Turturro. La trama è la stessa del film originale, cambia l’ambientazione. Gloria è una donna di mezz’età, divorziata da dodici anni e con due figli ormai adulti. Lavora, va a ballare, beve, e trascorre le sue giornate in una consolidata routine di solitudine. Una sera incontra Arnold, divorziato da poco e con due figlie grandi ma ancora dipendenti da lui in tutto e per tutto. Gloria e Arnold si innamorano, iniziano una relazione, si perdono e non si capiscono.
Dopo il premio Oscar per il miglior film straniero con Una donna fantastica, Lelio ha attirato l’attenzione del cinema statunitense. In due anni sono arrivati Disobedience e Gloria Bell. Al di là della natura di rifacimento integrale del film, il regista cileno non tradisce la sua visione dell’umanità. Le donne sono sempre al centro della sua narrazione, nella loro fragilità e forza, nelle loro insicurezze. Non cambia neanche l’ambiente di riferimento. Dopo il passaggio nella Londra ebrea ortodossa di Disobedience, con Gloria Bell continua a guardare all’alta borghesia, questa volta statunitense.
Lelio ha deciso di rifare se stesso come Haneke con Funny Games, come più di recente Hans Petter Moland con In ordine di sparizione e Un uomo tranquillo. La scelta gli ha permesso di mantenere il controllo sul materiale originale e di limitarsi ad adattarlo alla realtà nordamericana. Non ci sono più, come è ovvio, i riferimenti, seppur velati, alla società e alla storia cilena. Si parla appena di Stati Uniti, del problema delle armi, degli ex militari, del predominio degli uomini, fragili e irrisolti, molto meno capaci delle donne di prendere il controllo delle loro vite.
Il contesto, però, continua a interessare poco a Lelio. La sua attenzione è tutta sui personaggi e sulle vicende umane. Quello che era sorprendete di Gloria, il film originale del 2013, era lo sorprendente naturalezza delle vite che Lelio raccontava. Non solo quella della protagonista, ma di tutti i personaggi che si muovevano intorno a lei. La straordinaria Gloria di Paulina Garcia, premiata a Berlino per l’interpretazione, incarnava milioni di donne in situazioni simili.
Julianne Moore subentra nel ruolo con tutto il suo talento. La sua Gloria Bell è una versione statunitense di Gloria, con gli stessi problemi, gli stessi difetti e le stesse paure.
Come per il recente caso italiano Domani è un altro giorno, il rifacimento non intacca la qualità altissima del materiale di partenza. A voler cercare un difetto, la statura di divi di Moore e Turturro rende meno realistico il lato umano su cui si reggeva il film originale. Sono, anche nell’incarnare personaggi ordinari, troppo belli, troppo brillanti come sanno esserlo solo gli attori hollywoodiani. Nel passaggio da Santiago a Los Angeles, però, Gloria Bell si arricchisce anche di un messaggio più universale. Non rappresenta più solo un paese con tutte le sue complessità – la dittatura del passato e la proiezione verso il futuro – ma riesce a spogliarsi degli strati ulteriori per lasciare al centro solo Gloria.
Gloria Bell si conclude con un ballo scatenato sulle note di “Gloria” di Umberto Tozzi. Succedeva già nel film originale. Non è un caso, però, che la versione scelta è quella di Laura Branigan, con una Gloria molto più centrale, non semplice oggetto di amore.
(Gloria Bell, di Sebastian Lelio, 2018, commedia, 102’)
LA CRITICA
Sebastian Lelio trasferisce il suo ritratto di donna negli Stati Uniti. Gloria diventa Gloria Bell. La sostanza non cambia, solo gli interpreti.
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